Adempimenti

Affitti concordati: attestazione valida per più contratti, ma la semplificazione è un rebus

Il decreto legge 73/2021 rende efficace nel tempo la «bollinatura» necessaria per i contratti stipulati senza l’assistenza delle sigle firmatarie delle intese locali

di Cristiano Dell'Oste

Attestazione degli affitti a canone concordato valida per più contratti di locazione, ma non si capisce come potrà funzionare la nuova semplificazione. Il testo finale del decreto Semplificazioni (il Dl 73/2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale martedì 21 giugno) conferma quanto apparso nelle prime bozze e lascia irrisolti i dubbi avanzati dagli addetti ai lavori.

Cosa prevede il decreto

La nuova norma (articolo 7 del Dl 73) prevede la possibilità di far valere l’attestazione per tutti i contratti stipulati dopo il suo rilascio, finché non cambiano le caratteristiche dell’immobile o l’accordo territoriale del Comune in cui si trova la casa.

L’attestazione in questione è quella imposta dal decreto ministeriale del 16 gennaio 2017 per i contratti di locazione a canone concordato che non siano redatti con l’assistenza dei sindacati degli inquilini e delle associazioni della proprietà edilizia. In pratica, quando si stipula un contratto agevolato fai-da-te in un Comune in cui gli accordi territoriali sono stati rinnovati per recepire il Dm 16 gennaio 2017, occorre far “bollinare” il contratto da almeno una di queste organizzazioni (sindacati inquilini o proprietà edilizia), secondo le modalità previste dallo stesso accordo territoriale locale.

L’obbligo di attestazione riguarda sia i contratti fai-da-te in senso stretto, cioè quelli elaborati dal locatore e dall’inquilino per conto proprio, sia i contratti stipulati con l’aiuto di professionisti non riconducibili alle sigle firmatarie dell’intesa (avvocati, commercialisti, geometri, agenti immobiliari e così via). Nel dettaglio, l’obbligo è previsto da diverse norme del Dm 16 gennaio 2017: l’articolo 1, comma 8, l’articolo 2, comma 8, e l’articolo 3, comma 5. E vale per i classici contratti a canone concordato di lunga durata (3+2), ma anche per i contratti agevolati per studenti e per i contratti transitori a canone vincolato (da 1 a 18 mesi).

Attualmente l’attestazione vale per la durata del singolo contratto. Se l’inquilino recede dopo pochi mesi e la casa viene nuovamente locata, ne va fatta un’altra, anche se il nuovo rapporto ha le stesse condizioni di quello precedente. Nel caso dei contratti transitori — per i quali il canone non è libero nei Comuni con più di 10mila abitanti — l’attestazione rappresenta, di fatto, un costo burocratico ricorrente.

Il decreto Semplificazioni, invece, punta a rendere valida nel tempo la prima attestazione, un po’ come accade con l’attestato di prestazione di energetica (Ape). La stessa relazione illustrativa fa il paragone tra Ape e attestazione.

Gli inconvenienti applicativi

L’analogia con l’Ape appare però forzata. La “pagella energetica”, infatti, misura l’efficienza dell’immobile, e proprio per questa ragione vale dieci anni (salvo interventi di riqualificazione che alterino la prestazione energetica ). L’attestazione, invece, è riferita al singolo contratto, e riguarda la «rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso». Nella filosofia del Dm 16 gennaio 2017, i contratti redatti senza l’assistenza delle sigle di categoria devono essere attestati «sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali, a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo».

Immaginiamo che oggi una casa venga locata a canone concordato, con decorrenza 1° luglio 2022. Se poi quel contratto viene risolto, e il 1° aprile 2023 se ne stipula un altro, come si fa a sostenere che la vecchia attestazione del 2022 vale per il nuovo contratto? Le caratteristiche dell’immobile potrebbero non essere cambiate, né l’accordo locale. Ma chi verifica che il contenuto normativo del nuovo contratto e il livello del canone pattuito nel nuovo contratto siano conformi all’intesa territoriale per gli affitti agevolati?

È evidente che applicare alla lettera la norma del decreto semplificazioni significa tornare alla situazione precedente al Dm 16 gennaio 2017, quando i contratti redatti senza l’assistenza delle sigle di categoria erano sostanzialmente privi di controlli (e poi ci si è accorti che spesso il canone applicato era più alto di quello consentito dalle intese locali). L’unica differenza è che in questo caso il controllo verrebbe eseguito almeno sul primo contratto fai-da-te, ma non su quelli successivi; mentre in passato non c’era alcun controllo.

Se l’obiettivo è arrivare a una deregulation, però, servirebbe una norma più chiara. O, quanto meno, delle istruzioni a prova di equivoci.

Basta pensare che moltissimi Comuni chiedono il deposito dell’attestazione ai fini dell’applicazione dell’aliquota Imu ridotta. L’ufficio comunale si accontenterà di una vecchia attestazione? E le Entrate?

È stato ipotizzato di interpretare la norma del decreto semplificazioni nel senso che l’attestazione resta valida nel tempo solo se il canone e il contenuto normativo del contratto rimangono uguali. Cioè solo se il nuovo contratto è un “contratto fotocopia” in cui cambia il soltanto il nome dell’inquilino. Ma, ammesso che questa sia la lettura corretta, chi verifica che il contratto è una “fotocopia” di quello già attestato? Forse potrebbe autodichiararlo il locatore, ma è un aspetto che va chiarito a livello ufficiale. Intanto, la norma è in vigore dal 22 giugno.

(Articolo aggiornato il 22 giugno 2022).

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