Imposte

Agevolato a senso unico l’impatriato in smart working

Reddito imponibile abbattuto solo se si lavora effettivamente in Italia

di Roberto Smilari e Alessio Vagnarelli

Regimi fiscali di favore e smart working internazionale: l'agenzia delle Entrate dissipa (in parte) i dubbi.

Con la risposta a interpello 621/2021, l’agenzia delle Entrate torna sul tema della compatibilità tra la fruizione del regime degli impatriati (articolo 16 del Dlgs 147/2015) e l'esecuzione dell’attività lavorativa in modalità smart/remote working.

La fattispecie riguardava il caso, prospettato da un sostituto d’imposta italiano, di un lavoratore olandese a cui era stato applicato, a decorrere dal mese di gennaio 2020, il regime fiscale di favore (riduzione del 70% o del 90% del reddito di lavoro dipendente). Tuttavia, a causa della situazione pandemica, quest’ultimo aveva deciso di far rientro nel suo Paese di origine continuando, tranne che per un breve periodo del 2020, a lavorare da remoto per il datore di lavoro italiano.

L’Agenzia conferma, anche in questo interpello, l’impostazione già espressa (si vedano le risposte 345, 458 e 590 del 2021) basata sulla valorizzazione della presenza fisica del lavoratore, negando, nel caso specifico, la spettanza dell’agevolazione fiscale. Viene, infatti, precisato che «per luogo di prestazione» dell’attività lavorativa, nella particolare ipotesi di svolgimento della prestazione medesima nella modalità di svolgimento dell’attività lavorativa flessibile ( smartworking o lavoro da remoto) bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato».

Secondo il pensiero dell’Agenzia, infatti, le raccomandazioni Ocse dell’aprile 2020 e di gennaio 2021, tendenti a neutralizzare gli effetti fiscali derivanti dalle restrizioni imposte durante la pandemia, devono trovare applicazione esclusivamente qualora trasfuse in specifici accordi bilaterali (come quelli sottoscritti con Francia, Svizzera e Austria).

D’altro canto, e nella situazione opposta, in coerenza con il principio espresso, nell’interpello 596/2021 è stato confermato che tale favorevole regime fiscale può, invece, trovare applicazione per quei lavoratori (siano o meno essi cittadini italiani) che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere in modalità di smart working l’attività lavorativa in favore d'’imprese estere prescindendo dalla preesistenza di un vincolo contrattuale con queste ultime.

Si tratta di un chiarimento importante che sembrerebbe confutare la tesi contraria, sostenuta anche da alcune direzioni regionali dell’agenzia delle Entrate, per cui la spettanza del regime degli impatriati presupporrebbe necessariamente l’avvio di una nuova attività lavorativa.

L’apertura indicata dall’Agenzia consentirà ai lavoratori di imprese estere (la norma si applica anche ai lavoratori autonomi e alle aziende individuali), in possesso dei requisiti, che verranno a lavorare in Italia in modalità di smart working, di fruire per 5 periodi d’imposta della detassazione del 70% o del 90% (in caso di trasferimento in una delle regioni del Sud Italia) del reddito di lavoro dipendente qui prodotto (per i lavoratori con almeno un figlio minore a carico e per quelli che acquistano in Italia un immobile residenziale, si applica la proroga di ulteriori 5 anni con percentuale di detassazione del 50% o del 90% se presenti almeno tre figli minori o a carico).

Tuttavia, in applicazione dei principi che regolano la previdenza internazionale, la presenza del lavoratore in Italia potrebbe comunque comportare l’obbligo del versamento contributivo, con conseguente necessità, per il datore di lavoro estero, di registrare un’apposita rappresentanza previdenziale italiana.

Tale aspetto dovrà quindi essere attentamente valutato così come, per la modalità e la tipologia di attività esercitata, se la presenza del lavoratore possa configurare o meno una stabile organizzazione del datore di lavoro estero in Italia.

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