I temi di NT+Modulo 24

Appalti riqualificati in somministrazione, l’Iva assolta può consentire la detrazione

L’imposta sostenuta dal presunto somministratore non può far venir meno la detrazione in assenza di frode

di Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

La "campagna" contro l'utilizzo distorto del contratto d'appalto volto a celare mere prestazioni di somministrazione di manodopera vede spesso il contribuente (qui inteso come il committente delle ridette prestazioni) soccombente nei giudizi tributari instaurati avverso la pretesa degli Uffici fiscali.

A prescindere dagli esiti del collegato procedimento penal-tributario che talora si sviluppa "a latere" della controversia fiscale e che è volto ad accertare la sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta conseguente all'inserimento in dichiarazione di fatture considerate come relative a operazioni inesistenti, l'agenzia delle Entrate vede frequentemente riconosciute le proprie ragioni sul piano fiscale.

Si assiste così alla convalida di ricostruzioni volte al recupero, ai fini reddituali, dei costi sostenuti dal soggetto che si avvale dei lavoratori del "falso" appaltatore (conclusione che andrebbe tuttavia rigettata nella considerazione che il costo, seppur a un diverso titolo, è stato comunque sostenuto) e a sancirne la relativa indeducibilità ai fini Irap (stante la riqualificazione del servizio in prestazione lavorativa), oltre che indirizzate alla contestazione d'indetraibilità dell'Iva applicata sulle fatture emesse dal presunto somministratore e ricevute dal presunto somministrato. Ed è proprio su tale ultimo aspetto che si ritiene di offrire qualche spunto di riflessione.

La reazione legislativa alla somministrazione illecita di manodopera

Un elemento che occorre sottolineare in via preliminare riguarda il contesto in cui spesso maturano gli accertamenti in questione. In effetti, le contestazioni sono rivolte per lo più agli operatori che, nell'ambito dei rapporti controversi, assumono il ruolo di committenti. E questo perché, dopo aver evitato il versamento degli oneri fiscali e contributivi relativi al personale assunto e utilizzato nell'appalto (considerato) fittizio, sottraendosi normalmente anche agli obblighi dichiarativi e, soprattutto, dopo aver omesso il versamento delle imposte relative alle operazioni effettuate (Iva) e al reddito conseguito (Irpef/Ires) e/o al valore imponibile realizzato (Irap), il "finto" appaltatore spesso e volentieri si rende irreperibile o non è comunque in grado o non intende saldare il proprio conto con l'erario.

La conseguenza è che il fisco si rivolge al committente che, altrettanto frequentemente, è del tutto ignaro delle malefatte altrui. Fuori dai casi in cui tale soggetto risulta coinvolto nella frode o ne ha comunque tratto colpevole beneficio (e che per ciò giustamente merita di essere perseguito), sono infatti numerosi i casi in cui gli Uffici tendono a enfatizzare aspetti marginali del rapporto contrattuale, attribuendo loro una consistenza tale da creare una suggestione di complessiva irregolarità della fattispecie. Lo scopo (si teme) è quello di recuperare almeno in parte dall'uno (il committente, presunto somministrato) quanto dovuto dall'altro (l'appaltatore, presunto somministratore di manodopera).

In tutte le situazioni in cui è incerto che il contratto d'appalto "mascheri" una somministrazione di manodopera (essendo quelli individuati dai verificatori meri indizi, quando non soltanto ipotesi indiziarie), occorrerebbe allora tener conto del fatto che lo stesso legislatore, in un'apprezzabile ottica di prevenzione dei fenomeni evasivi, ma anche nella consapevolezza che i processi produttivi ed economici sono in costante evoluzione, ha ritenuto di dover intervenire agendo sul fronte della regolazione delle fattispecie potenzialmente "a rischio".

Con l'articolo 4 del Dl 124/2019, convertito con modificazioni nella legge 157/2019, a rubrica "Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell'illecita somministrazione di manodopera" è stata infatti introdotta una serie di misure volte a contrastare l'omesso versamento di ritenute fiscali, anche mediante l'indebita compensazione, nonché l'utilizzo in compensazione di crediti Iva derivanti da prestazioni rese in appalto o subappalto da parte di "soggetti che poi non provvedono al versamento dell'imposta incassata". In particolare, i primi due commi del citato articolo introducono disposizioni in materia di compensazioni, aggiungendo al Dlgs 241/1997 l'articolo 17-bis. Tale norma prevede particolari obblighi e prescrizioni per le imprese che affidano ad altre imprese il compimento, a titolo di appalto, subappalto o "altri rapporti negoziali comunque denominati", di una o più opere di valore complessivo superiore a determinate soglie, qualora le imprese appaltatrici ricorrano prevalentemente all'utilizzo di manodopera (cosiddette attività "labour intensive"), svolgano l'attività presso la sede del committente e utilizzino beni strumentali e attrezzature di quest'ultimo.

Il comma 3 dell'articolo 4, invece, sposta l'attenzione sull'imposta sul valore aggiunto, stabilendo (previa autorizzazione dei competenti organi comunitari) che alle prestazioni – genericamente intese - rese mediante contratti di appalto, subappalto o altri rapporti negoziali comunque denominati, "caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest'ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma", si applica il meccanismo dell'inversione contabile.

La ragione di tale scelta, come chiarito nelle schede di lettura pubblicate dal servizio studi del Senato della Repubblica e nella relazione illustrativa del decreto, è quella d'invertire l'onere dell'applicazione dell'imposta sul committente, annullando di fatto la possibilità che l'appaltatore o subappaltatore incassi l'Iva addebitata e poi non ne effettui il versamento. In altre parole, viene ampliato agli appalti "labour intensive" il meccanismo del reverse charge (di cui all'articolo 17 del Dpr 633/1972, al cui sesto comma è stata aggiunta la lettera a-quinquies) già previsto per altri rapporti (subappalti in edilizia, eccetera).

Le schede di lettura del Senato, così come la circolare 1/E del 12 febbraio 2020 dell'agenzia delle Entrate, del resto, richiamando il Documento programmatico di bilancio 2020, chiariscono che la norma intende porre un freno al sistema "delle finte società affidatarie che aggirano le norme contrattuali, evadono l'Iva e non procedono al versamento delle ritenute operate sui redditi dei lavoratori".

In tal modo, viene evidenziato che la disposizione non nega affatto che le imprese "labour intensive" (definizione che pare attagliarsi ai soggetti presunti "somministratori") rendano prestazioni di servizi rilevanti ai fini Iva, limitandosi a disciplinare le modalità con cui l'imposta dev'essere assolta e a individuare il soggetto tenuto al relativo assolvimento, al dichiarato fine di evitare fenomeni evasivi.

La fattispecie "disegnata" dalla norma coincide spesso con le situazioni contestate negli accertamenti in materia di presunta somministrazione di manodopera. E anzi, si danno casi in cui i rilievi riguardano ipotesi ancor meno "gravi" essendo maggiormente evidente, rispetto al paradigma normativo, la terzietà dell'impresa del prestatore (presunto somministratore) rispetto a quella del committente (presunto somministrato). In effetti, secondo la disposizione di legge, saremmo comunque di fronte a una prestazione di servizi ai fini Iva anche se le prestazioni sono eseguite in locali nella piena disponibilità del committente (circostanza che non sempre ricorre) e con l'utilizzo prevalente di beni strumentali concessi in uso dallo stesso (circostanza che, parimenti, non sempre è realizzata).

Del resto, le conclusioni di cui sopra paiono trarre ulteriore sostegno proprio a seguito del parere negativo all'estensione del reverse charge espresso dalla Commissione europea nel documento COM(2020) 243 final, datato 22 giugno 2020, a fronte della richiesta avanzata dallo Stato italiano. In tale documento, infatti, il competente organo comunitario in nessun modo dubita che le operazioni per cui è stata chiesta la deroga agli ordinari criteri di fatturazione con addebito dell'imposta, siano operazioni rilevanti ai fini Iva come prestazioni di servizi. A esse, pertanto, i fornitori – così ancora il parere della Commissione - "dovranno applicare il regime Iva normale", proprio perché si tratta comunque di operazioni che rientrano nel campo applicativo dell'imposta (come peraltro testimonia la permanenza della disposizione introdotta dal Dl 124/2019 all'interno dell'articolo 17 del decreto Iva, anche dopo la "bocciatura" comunitaria).

Alla luce delle considerazioni che precedono, una contestazione in punto d'indetraibilità dell'imposta relativa alle suddette prestazioni andrebbe pertanto attentamente valutata, se non esclusa a priori, in mancanza di elementi probatori "forti" che consentano di escludere con certezza la "genuinità" dell'appalto contrattualizzato tra le parti. E sempre che, malgrado ciò, non sia ugualmente sostenibile l'esistenza di un'operazione rilevante Iva, come potrebbe sostenersi in base ad alcune indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria.

La giurisprudenza Ue sui prestiti di personale e la detrazione dell'Iva non dovuta

In aggiunta a quanto sopra, vi sono infatti ulteriori profili che dovrebbero indurre a una meditazione più profonda prima di trarre conclusioni "definitive" sull'erronea applicazione dell'imposta e sulla relativa indetraibilità nelle situazioni in cui è contestata l'esistenza di una somministrazione di manodopera.

Pur dovendosi rinviare per maggiori approfondimenti ad altri contributi (presenti nel Modulo 24 Iva: La Corte di Giustizia si pronuncia sul regime Iva del distacco di personale, aprile 2020 e I dubbi di Assonime sul trattamento UE dei prestiti di personale, giugno 2020), non può non considerarsi che l'inapplicabilità assoluta dell'imposta alla somministrazione di personale/manodopera è stata posta in discussione dalla giurisprudenza della corte di Giustizia Ue.

Con il rinvio pregiudiziale di cui all'ordinanza n. 2385 del 29 gennaio 2019, la corte di Cassazione ha infatti rimesso ai giudici europei la verifica di compatibilità comunitaria della normativa nazionale (di cui alla legge 67/1988) che prevede l'irrilevanza Iva dei prestiti o distacchi di personale per i quali è versato solo il rimborso del relativo costo da parte del soggetto beneficiario. Nell'ordinanza, dubitando della legittimità della disciplina interna, i giudici (punto 16) evidenziano come, "inoltre, la norma nazionale sembra innestare un'ingiustificata disparità di trattamento, ai fini Iva, tra i diversi strumenti mediante i quali si attua la "messa a disposizione di personale", che potrebbe incidere sul principio di neutralità fiscale espressione, appunto, del principio generale della parità di trattamento (da ultimo, Corte giustizia 19 dicembre 2018, causa C-51/18, punto 55)". Del resto, proseguono i giudici nazionali (punto 16.1) "la somministrazione di manodopera è difatti anch'essa strumento di messa a disposizione di personale (Corte giustizia 12 marzo 2015, causa C-594/13…)".

Limitando la richiesta di pronuncia al caso dei prestiti e distacchi di personale, la Cassazione propone quindi la questione al vaglio della giustizia europea, la quale si è infine pronunciata con la sentenza 11 marzo 2020 nella causa C-94/19.

In tale pronuncia, la corte di Giustizia riepiloga, con numerosi richiami alla propria giurisprudenza, i principi interpretativi alla base della definizione di prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi dell'art. 2 della sesta direttiva (e ora dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera c, della direttiva 2006/112).

Da tali principi discende che una prestazione di servizi si considera effettuata "a titolo oneroso", configurando un'operazione oggettivamente rilevante, se è verificata la condizione per cui tra il prestatore e il beneficiario intercorre un rapporto giuridico con scambio di reciproche prestazioni, e se il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario.

Tali condizioni sono entrambe contestualmente verificate "quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto" conseguente all'esistenza di un accordo negoziale che disciplina il vincolo sinallagmatico tra prestazione e controprestazione. Irrilevante inoltre è l'entità del corrispettivo ossia il fatto che esso "sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell'ambito della fornitura della sua prestazione", non essendo detto importo "tale da compromettere il nesso diretto esistente tra la prestazione di servizi effettuata e il corrispettivo ricevuto" (punto 29 della sentenza).

Le conclusioni della sentenza stabiliscono quindi che la disciplina nazionale in materia di prestiti/distacchi di personale è incompatibile con il diritto comunitario in materia di Iva, ma ciò che più conta è che, sulla base dei principi generali enunciati, vanno del pari considerate incompatibili tutte quelle analoghe "deviazioni" dal sistema comune dell'imposta che abbiano identici effetti sotto il profilo impositivo. Non solo, dunque, è incompatibile con la normativa comunitaria la disciplina dei prestiti/distacchi di personale, ma lo sarebbe anche quella della somministrazione di lavoro e manodopera. Diversamente, ne deriverebbe la lesione di un principio fondante del sistema Iva, ossia quello del divieto della "disparità di trattamento" (espressamente richiamato nell'ordinanza della corte di Cassazione) in forza del quale fattispecie simili non possono essere sottoposte a un diverso inquadramento ai fini dell'imposta.

Anche osservata da questa particolare angolazione, pertanto, la contestazione d'indetraibilità dell'imposta "non dovuta" sulle prestazioni controverse, che "scatta" ogni qualvolta gli organi di controllo ritengono di aver individuato un'illegittima attività di somministrazione di manodopera "camuffata" da appalto, meriterebbe una miglior ponderazione o almeno indurre il giudice nazionale a sottoporre la questione ad analoga verifica di coerenza comunitaria. Il tutto, senza contare che proprio la sussistenza di un'ipotesi di imposta "non dovuta" introduce al dibattito sulla reale portata della norma di cui all'articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997, sulla quale è chiara la presa di posizione assunta da chi scrive e che trova espressione anche nel Principio di interpretazione n. 2 (Iva fatturata in eccesso e detrazione, 7 luglio 2021, a cura di Comitato scientifico Modulo 24 Iva).

Ferma l'estraneità a ipotesi di frode fiscale, l'applicazione dell'Iva a prestazioni d'appalto riqualificate in somministrazione di manodopera non dovrebbe pertanto esplicare effetti sul diritto di detrazione, all'ulteriore condizione che tale imposta sia stata "assolta" dal presunto somministratore.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.
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