Controlli e liti

Bancarotta senza «ne bis in idem»: punito l’illecito fallimentare e il reato fiscale

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di Antonio Iorio

La bancarotta documentale può concorrere con il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili e pertanto se l’imputato è già stato processato per il reato fallimentare non può invocare il ne bis in idem sostanziale per il procedimento relativo al delitto tributario. A confermare questo principio è la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 18927 depositata ieri.

Un imprenditore era condannato, in secondo grado per il reato di occultamento o distruzione di scritture contabili (articolo 10 del Dlgs 74/2000). Nel ricorso per cassazione rilevava che era stato già condannato per il reato di bancarotta documentale (articolo 216 della legge fallimentare). Evidenziava quindi che la fattispecie di occultamento o distruzione di documenti contabili (oggetto del ricorso per cassazione) integrava una condotta identica e combaciante con la bancarotta documentale. Peraltro dall’analisi delle due imputazioni si deduceva la sussistenza della medesima condotta e quindi, poiché il reato più grave per il quale era intervenuta la condanna, era quello fallimentare doveva ritenersi assorbito l’altro di occultamento di documenti contabili.

La bancarotta fraudolenta documentale prevede, infatti, la pena della reclusione da tre a dieci anni, nei confronti dell’imprenditore, se dichiarato fallito, che ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

Il delitto tributario di occultamento o distruzione di documenti contabili riguarda invece chiunque, «salvo che il fatto costituisca più grave reato», al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. È prevista la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni (fino al 22 ottobre 2015 da sei mesi a cinque anni).

La relazione illustrativa al Dlgs 74/2000, a proposito della locuzione «salvo che il fatto costituisca più grave reato» introdotta nel delitto di occultamento di documenti contabili, evidenziava proprio che non era possibile ipotizzare il concorso con il delitto di bancarotta documentale. E infatti rilevava che «viene fatto espressamente salvo, comunque, il caso in cui la condotta costituisca più grave reato: clausola che vale ad escludere, in particolare, il concorso fra il delitto in esame e quello di bancarotta fraudolenta documentale, sancendo la prevalenza di quest’ultimo».

La Suprema Corte ha, innanzitutto, rilevato che non può essere deducibile per la prima volta in Cassazione la violazione del divieto del ne bis in idem in quanto l’accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito sottratto al giudice di legittimità

Per quanto concerne, invece, il rapporto tra il delitto fallimentare e quello tributario in questione, la sentenza ha escluso la specialità del primo rispetto al secondo, stante la diversità delle fattispecie incriminatrici. In particolare, quella tributaria comporta l’impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come possibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta. Diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’articolo 216, n. 2, della legge fallimentare si concreta in un evento cui discende la lesione degli interessi dei creditori risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta ben potendosi apprezzare la lesione anche della sottrazione di scritture meramente facoltative.

La decisione dei giudici di legittimità è importante perché di fatto introduce il possibile concorso tra i due delitti nonostante, proprio per evitare tale circostanza, il legislatore del 2000 avesse espressamente introdotto la locuzione «salvo il fatto non costituisce più grave reato», come confermato dalla relazione illustrativa. Resterebbe da comprendere a questo punto il senso di tale frase.

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