Imposte

Banche, stop al taglio retroattivo sugli sconti per le perdite su crediti

Emendamento del Governo in conversione del Dl 17/2022 per evitare agli intermediari di rivedere i bilanci 2021 appena chiusi

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Il governo ci ripensa e decide di non costringere le banche a rivedere i bilanci 2021 appena chiusi. Ma continua a pretendere gli 1,04 miliardi che gli servono quest’anno per chiudere i conti del decreto energia di inizio marzo. Li pescherà sempre dagli istituti di credito, ma con una mossa che incide sui saldi del 2022. La novità arriva da un emendamento depositato dal ministero dell’Economia all’articolo 42 del decreto bollette (si tratta del Dl 17/2022) ora in discussione alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera.Tutto nasce dal lavorio intorno alla deduzione ai fini di Ires e Irap della quota del 12% dell’ammontare delle perdite su crediti per il periodo d’imposta 2021. Questa deduzione nel testo originario del decreto è stata differita in quote costanti all’anno d’imposta 2022 e ai tre successivi. Gli istituti di credito, quindi, avrebbero dovuto rivedere ex post i propri bilanci dell’anno scorso per tenere conto della quota di deduzione che sarebbe venuta a mancare. La novità aveva creato ovviamente più di un malumore ai piani alti delle banche perché, come riconosce ora lo stesso ministero dell’Economia nella relazione illustrativa depositata a Montecitorio insieme al correttivo, «produce effetti su bilanci già redatti e sulle segnalazioni di vigilanza già inviate, relativi all’esercizio 2021 delle banche e degli altri intermediari finanziari interessati dal differimento».

Frutto di tanta resipiscenza è appunto il correttivo appena depositato, e destinato ad approvazione sicura in quanto scritto nelle stanze di Via XX Settembre. In pratica, il meccanismo è confermato, ma slitta in avanti di un anno. A essere spalmata su un orizzonte pluriennale sarà infatti la quota 2022 della deducibilità delle perdite su crediti, sempre pari al 12%: l’agevolazione fiscale bloccata, quindi, è quella relativa all’anno in corso, e il suo recupero avverrà nei quattro anni successivi, cioè dal 2023 al 2026.

Il meccanismo messo a punto dal governo interviene però di fatto anche sulle quote degli anni passati, perché i tecnici del Mef si sono dovuti muovere sul filo dell’equilibrio fra due esigenze: salvando, oltre ai conti delle banche, anche i saldi di finanza pubblica costruiti in base alle stime del Dl. Così, ad esempio, la quota del 10% relativa al 2018 e già differita al 2026 viene in parte anticipata al 2022 per almeno il 53% del suo ammontare. Un complicatissimo gioco sul filo, per tenere in piedi tutto.

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