Controlli e liti

Bonus casa ceduti: stop ai controlli fino all’ottavo anno sul contribuente

Il maggior termine per i crediti inesistenti può essere usato solo per il recupero verso il cessionario coinvolto in una frode

di Silvio Rivetti

La sentenza 8500/2021 delle Sezioni unite ha fatto molto discutere per i suoi riflessi sui termini di accertamento nel campo dei bonus casa. C’è però da chiedersi cosa accada laddove la detrazione fiscale sia stata oggetto di cessione (o di sconto in fattura). In tali ipotesi, la sua natura muta e il beneficio si trasforma in credito d’imposta: un credito cedibile, liberamente utilizzabile in compensazione orizzontale da parte del cessionario e, per tali motivi, diversamente controllabile e contestabile (a mezzo degli appositi atti di recupero ex articolo 1, comma 421, legge 311/2004).

Il legislatore distingue tra crediti “non spettanti” e crediti “inesistenti”: disponendo che i primi possono essere intercettati dai controlli di liquidazione e formali e dunque contestati nei termini decadenziali ordinari; mentre i secondi – i crediti d’imposta “fittizi”, frutto di operazioni fraudolente – possono essere individuati con una più ampia attività d’indagine di carattere accertativo.

Solo per tali crediti d’imposta “inesistenti” il legislatore prevede che l’atto di recupero possa essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito (articolo 27, comma 16, Dl 185/2008); con aggravio delle sanzioni (dal 100 al 200% dei crediti stessi) e inapplicabilità degli istituti deflattivi. E tuttavia non bisogna dimenticare che, per l’articolo 13, comma 5, Dlgs 471/1997, il credito è qualificabile come “inesistente” se il suo presupposto costitutivo manca e la sua inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli formali di cui al menzionato articolo 36-ter.

Stop all’accertamento in otto anni per il contribuente
Ne deriva, perciò, che il maggiore arco temporale di otto anni non potrà mai essere utilizzato per recuperare le quote delle detrazioni fiscali edilizie, in capo al contribuente che le ha convertite in crediti d’imposta. Delle due l’una, infatti:

1) se il contribuente ha commesso irregolarità rilevabili con un controllo formale/documentale ex articolo 36-ter, si procederà (con emissione della cartella di pagamento) entro il quarto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione (salva la possibilità di rilevare la stessa infrazione con un accertamento ordinario, da emettere ordinariamente entro il quinto anno). Può essere il caso, ad esempio, di un’irregolarità sostanziale come lo sfruttamento di un bonus da parte di un soggetto non legittimato, come un comodatario privo di contratto registrato;

2) se il contribuente ha commesso una frode o un’operazione fittizia (come la mancata esecuzione dei lavori o la falsità di un’asseverazione) sarà necessaria un’attività di accertamento vera e propria (e non un mero controllo da 36-ter), che investa l’attività edilizia svolta e individui profili di frode nelle operazioni compiute negli ordinari termini decadenziali (il quinto anno successivo alla presentazione della dichiarazione dei redditi).

In entrambi i casi, la sentenza 8500/2021 consente al Fisco di calcolare il termine non già dalla prima dichiarazione dei redditi in cui viene indicata la prima rata di detrazione, ma in una qualsiasi delle dichiarazioni annuali successive, fino a quella in cui viene indicata l’ultima rata. Ecco perché si dice che si può arrivare fino al quinto anno successivo all’ultima dichiarazione reddituale di utilizzo del bonus.

Il coinvolgimento di chi acquista il credito
L’eventuale possibilità di arrivare fino all’ottavo anno, invece, investe il cessionario.

L’articolo 121, comma 4, Dl 34/2020, distingue infatti i controlli e le responsabilità, rispettivamente in capo ai contribuenti e ai cessionari dei crediti. La norma impone alle Entrate di verificare documentalmente la spettanza delle detrazioni edilizie in capo ai contribuenti che ne hanno fruito, a prescindere dalla successiva cessione dei crediti; e sempre nel rispetto dei termini ordinari dell’accertamento.

Se tale controllo documentale (articolo 36-ter) evidenzia una detrazione “non spettante”, il recupero d’imposta investe il solo contribuente controllato: mentre gli eventuali cessionari dei crediti risponderanno solo dell’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto, nel contesto del diverso controllo di liquidazione, che per definizione potrà svolgersi nel rispetto delle relative tempistiche ordinarie e non certo nel maggiore arco temporale di otto anni (come si desume dal citato comma 4 dell’articolo 121).

Se invece un’attività di accertamento vera e propria dovesse individuare profili di frode nelle operazioni compiute, tale attività potrà legittimare, accanto al recupero delle detrazioni in capo ai contribuenti e pur sempre nei termini ordinari, anche il recupero delle quote di detrazione convertite in crediti “inesistenti” in capo ai soggetti cessionari, nel maggior arco temporale degli otto anni: e purché ne sia dimostrato il concorso nella violazione. In assenza della prova della loro partecipazione nella frode, infatti, i cessionari si presumono in buona fede e non possono patire le conseguenze dei recuperi d’imposta gravanti solo sui contribuenti che hanno sostenuto le spese, ai sensi dell’articolo 121 comma 6 Dl 34/2020.

È utile ribadirlo: non appare corretto ipotizzare che i contribuenti fruitori delle detrazioni anche mediante cessione dei crediti siano esposti a contestazioni in relazione ai maggiori termini degli otto anni: riguardando tale termine una fattispecie del tutto diversa (l’uso dei crediti in compensazione) ed essendo il recupero delle detrazioni non spettanti a loro carico sempre vincolato ai termini ordinari per l’accertamento.

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