C’è abuso del diritto solo se i vantaggi fiscali sono indebiti
Operazioni intaccabili in presenza di valide ragioni economiche
Con l'ordinanza n. 24839 depositata il 6 novembre 2020, la Corte di Cassazione ha negato la configurabilità dell'abuso del diritto in assenza del conseguimento di un indebito risparmio d'imposta.
La vicenda traeva origine dalla cessione a un soggetto terzo, da parte di persone fisiche residenti in Italia, di partecipazioni estere che avevano formato oggetto di rivalutazione ai fini fiscali ai sensi della disciplina originariamente prevista dalla legge 448/2001. La società cessionaria aveva pagato il corrispettivo con i dividendi distribuiti dalle società compravendute, la cui distribuzione era stata già deliberata all'atto della cessione delle partecipazioni. L'agenzia delle Entrate recuperava a tassazione le plusvalenze derivanti dallo share deal, riconducendo l'operazione nell'alveo dell'abuso del diritto. Secondo l'amministrazione finanziaria, la sequenza rivalutazione – cessione delle partecipazioni rappresentava un modo per convertire i dividendi in capital gain e azzerare, in tale maniera, il carico fiscale in virtù della previa rivalutazione delle partecipazioni.
La decisione della Cassazione è tranchant: va sempre garantita la libertà del contribuente di scegliere tra operazioni che determinano un differente carico fiscale e il divieto di comportamenti abusivi non vale quando le operazioni abbiano giustificazioni economiche diverse dal conseguimento del mero risparmio d'imposta. Alla luce di tali principi, pertanto, l'assetto negoziale sopra descritto ha comportato un risparmio fiscale consentito dai principi generali dell'ordinamento tributario, quindi non elusivo. Secondo la Suprema corte, inoltre, la Commissione tributaria regionale di Milano non ha adeguatamente valorizzato come la compravendita avesse effettivamente prodotto la dismissione delle partecipazioni e fosse quindi supportata da una valida ragione economica, ulteriore rispetto al realizzo tax-free dei plusvalori racchiusi nelle partecipazioni.
L'ordinanza n. 24839/2020 è significativa per una duplice ragione. In primo luogo essa valorizza come il principale elemento costitutivo dell'elusione – abuso sia il conseguimento di vantaggi fiscali indebiti, asistematici rispetto alla ratio della norma tributaria. Si tratta di un elemento fondamentale che aveva assunto una rilevanza marginale negli orientamenti giurisprudenziali antecedenti all'introduzione dell'articolo 10-bis della legge 212/2000 che, al comma 4, ha definitivamente codificato il principio della libertà di scelta del contribuente. Inoltre, la pronuncia consente di riflettere sulla peculiare distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi che ancora caratterizza il nostro ordinamento tributario e sulla circostanza che il regime di rivalutazione originariamente previsto dalla legge 448/2001 rilevi soltanto ai fini dei capital gain. Si tratta, a ben vedere, di una limitazione che trovava probabilmente la propria ratio nella normativa vigente ratione temporis, in base alla quale veniva attribuito un credito d'imposta sulle riserve di utili distribuite in sede di liquidazione o di recesso. Di conseguenza, il minore carico fiscale allora vigente sul recesso “tipico” giustificava l'applicabilità della norma sulla rivalutazione delle partecipazioni soltanto ai fini dei capital gain, circostanza rimasta tale anche se il credito d'imposta sui dividendi non è più contemplato dal Tuir vigente.