Imposte

Certificato sucessorio europeo con imposta fissa e registrazione entro 30 giorni dall’emissione

La risposta a interpello 563: si applica l’imposta di registro di 200 euro

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di Angelo Busani

Al certificato successorio europeo (Cse) deve essere applicata l’imposta di registro in misura fissa (attualmente stabilita in 200 euro), in termine fisso, vale a dire entro 30 giorni dalla data della sua emissione. Lo afferma, un po’ sorprendentemente, l’agenzia delle Entrate nella risposta a interpello 563 del 27 novembre 2020.

Il certificato successorio europeo è stato ideato dal regolamento Ue 650/2012, recante la riforma del diritto internazionale privato in materia di successione a causa di morte, per essere utilizzato:
•dagli eredi e dai legatari che, in un altro Stato Ue, abbiano la necessità di far valere il fatto di vantare diritti in una successione mortis causa;
•dagli esecutori testamentari o amministratori dell’eredità che, in un altro Stato Ue, abbiano la necessità di far valere i loro poteri come esecutori o amministratori di un’eredità.

In Italia, l’articolo 32, legge 30 ottobre 2014, n. 161, ha disposto che il Cse sia rilasciato da un notaio, su richiesta delle persone a ciò legittimate dal regolamento 650/2012. Il ragionamento dell’Agenzia è il seguente: dato che il Cse è un «atto pubblico» e dato che l’articolo 11, Tariffa Parte Prima allegata al Dpr 131/1986 (il testo unico dell’imposta di registro) dispone la tassazione con l’imposta di registro in misura fissa per gli «atti pubblici … non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», allora anche al Cse deve applicarsi l’imposta di registro in misura fissa.

Le ragioni di perplessità sorgono dall’osservazione che la legge di registro in tanto contempla gli «atti» (articolo 1 del Dpr 131/1986) aventi efficacia giuridica in quanto essi siano «disposizioni» (nel senso di cui all’articolo 21 del Dpr 131/1986) e cioè espressioni di volontà (siano, quindi, «atti» o «negozi» giuridici).Invece, nel caso del Cse si ha un atto che ha natura di mera «certificazione» (della devoluzione di una eredità); e, così come ogni altra certificazione rilasciata da un notaio, non dovrebbe essere soggetta (seppur abbia, come d’altronde ha ogni altra certificazione notarile, la natura di «atto pubblico») all’applicazione dell’imposta di registro.

Sotto il profilo civilistico, se è vero che il Cse è stato immaginato per essere utilizzato quando la situazione conseguente a una successione ereditaria deve essere dimostrata in un Paese Ue diverso da quello la cui legge disciplina la vicenda successoria, indubbiamente esso può utilizzarsi anche per finalità “interne” (e cioè ben può essere rilasciato da un notaio italiano con riguardo a una successione che non abbia profili di internazionalità, sia oggettivamente che soggettivamente, e che, dunque, esaurisca la sua portata nell’esclusivo ambito del nostro ordinamento): a differenza di quanto accade in altri sistemi giuridici (che prevedono istituti simili al Cse), nel nostro sistema manca infatti uno strumento - diverso da una sentenza che sia emanata a seguito di un contenzioso - per accertare la situazione giuridica che si verifica a seguito di una successione ereditaria; e, quindi, è indubbia l’utilità che può derivare (in termini di certezza del diritto e di efficienza delle procedure e dei traffici giuridici conseguenti a una successione ereditaria) dalla possibilità di utilizzare il Cse anche “Italia su Italia”.

Sul punto, va osservato che, formalmente, la normativa in commento ha in effetti come suo substrato la transnazionalità di una vicenda ereditaria e che, pertanto, il presupposto del rilascio del Cse è senz’altro l’apertura di una successione con caratteristiche di internazionalità; ma che, sostanzialmente, non appare implausibile (anche in mancanza di un auspicabile intervento del legislatore sul punto) leggere la normativa sul Cse nel senso che essa in effetti non vieta il rilascio Cse anche per le successioni “interne”: e ciò non solo in quanto, nel concreto, il cittadino italiano (interessato a una successione per la quale il Cse non appaia rilasciabile) sarebbe svantaggiato rispetto al cittadino straniero che invece vi possa ricorrere, ma anche perché, più in generale, è principio oggi perfettamente acquisito quello secondo cui l’armonizzazione delle norme vigenti nell’Ue non può condurre a “discriminazioni alla rovescia” e cioè, nell’intento di armonizzare le norme di un Paese con quelle degli altri Paesi Ue, comportare discriminazioni proprio per i cittadini del Paese che opera questa armonizzazione.

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