Controlli e liti

Cessione di fabbricato da demolire senza plusvalenza

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di Alessandro Borgoglio

Non è soggetta a tassazione la plusvalenza derivante dalla cessione di un terreno edificabile sul quale insorge un fabbricato, per cui sia già stata presentata domanda di demolizione e successiva ricostruzione da parte dell’acquirente con il placet dell’alienante. È quanto stabilito dalla Cassazione, con l’ordinanza 10393/2019.

In base all’articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir, sono redditi diversi, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

La Suprema Corte aveva già stabilito che la ratio ispiratrice della norma è di assoggettare a imposizione la plusvalenza che trovi origine non da un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma semplicemente dall’avvenuta destinazione edificatoria del terreno in sede di pianificazione urbanistica (Cassazione 13628/2018).

Nella prassi si verifica talvolta che fabbricati fatiscenti vengano venduti, in realtà, con lo scopo, per gli acquirenti, di demolirli e ricostruirli, perché di fatto più conveniente che ristrutturarli. In tali casi, l’Amministrazione finanziaria tende a riqualificare la cessione di fabbricato in cessione di area edificabile, atteso che l’intento reale delle parti sarebbe quello di trasferire il solo terreno edificabile, essendo il fabbricato, di fatto, privo di valore.
Se, a seguito di cessione di fabbricato detenuto o costruito da più di cinque anni, la plusvalenza emergente non è tassabile, la cessione di un’area edificabile, invece, determina una plusvalenza tassabile come reddito diverso, atteso il tenore dell’articolo 67.

La Cassazione ha stabilito che il Fisco non può procedere a tale tassazione, atteso che un terreno su cui insiste un fabbricato è da ritenersi già edificato e, quindi, non trova applicazione l’articolo 67; l’entità sostanziale del fabbricato non può essere mutata in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria, sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e, soprattutto, la cui realizzazione - come nel caso di demolizione del fabbricato e successiva ricostruzione - è futura rispetto all’atto oggetto di tassazione, eventuale e rimessa alla potestà di soggetto diverso (l’acquirente) da quello interessato dall’imposizione fiscale (Cassazione 15629/2014, 7853/2016; contra, Ctr Lombardia, sentenza 3523 del 6 settembre 2017).
Insomma, il potere generale del Fisco di riqualificare un negozio giuridico in ragione dell’operazione economica sottesa trova un limite nell’indicazione precisa di carattere tassativo del legislatore, ove - nell’esercizio di discrezionalità politica che non trascende i limiti costituzionali - ha previsto per la cessione di edifici un regime fiscale/temporale e per la cessione di terreni edificabili un diverso regime fiscale (Cassazione 5088/2019).

L’aspetto singolare della questione è, però, che, ai fini dell’imposta di registro, invece, la Suprema Corte, con un orientamento ormai consolidato, ha sempre riconosciuto che il Fisco possa procedere alla riqualificazione in oggetto (Cassazione 313/2018, 10113/2017, 16382/2016).

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