Imposte

Cibi e bevande da asporto, l’Iva è quella del bene ceduto

La cessione di piatti da asporto ha un trattamento diverso da quello previsto per la somministrazione di cibi e bevande

di Luca De Stefani

Con l’attività di somministrazione di alimenti e bevande sospesa, molti ristoratori e bar hanno iniziato il servizio da asporto , per il quale però non si applica l’aliquota Iva del 10% relativa al servizio di somministrazione, ma quella tipica del bene ceduto.

Sia per i bar, i ristoranti e le pizzerie, che per le imprese artigiane ( gelaterie e pizzerie al taglio), le cessioni di «piatti da asporto», non possono essere assimilate, ai fini Iva, alle somministrazioni di alimenti e bevande (peraltro, non ammesse per le attività artigianali). La somministrazione è una prestazione di servizi, caratterizzata dalla commistione di «prestazioni di dare» e di «prestazioni di fare» (articolo 3, comma 2, n. 4, Dpr 633/1972 e principio di diritto 9/2019), alla quale si applica l’aliquota Iva del 10%, indipendentemente dal tipo di prodotto somministrato, ai sensi della voce 121, Tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/1972. Grazie alle «prestazioni di fare», le somministrazioni si distinguono dalle vendite di beni da asporto (risoluzione 103/E/2016, Corte di Giustizia Ue 2 maggio 1996, causa C-231/94). Va prestata attenzione, però, perché sono assimilate alle somministrazioni anche quelle effettuate all’esterno del pubblico esercizio, se il loro «contenuto» è costituito, oltre che da una cessione di beni, anche da una prestazione di servizio, come ad esempio i rinfreschi o i buffet, effettuati con merce, attrezzatura e personale dell’azienda, nel domicilio o nella sede indicata dal cliente ovvero le «piccole somministrazioni» di caffè, cappuccini, effettuate presso uffici, negozi, scuole o enti (risoluzione 380292/1980). Sono incluse tra le somministrazioni di alimenti e bevande anche quelle effettuate mediante apparecchi di distribuzione automatica. Sono cessioni di beni, invece, le cessioni di «piatti da asporto», senza somministrazione, come ad esempio il «take away», dove il cliente preleva nella sede del ristoratore il cibo da consumare altrove ovvero il «food delivery», dove il cliente chiede di farlo consegnare altrove e il trasporto è considerato un semplice servizio accessorio alla cessione di beni (interpello Dre Lombardia di gennaio 2016 numero 904-46/2016). In questi casi, l’aliquota Iva applicabile deve essere individuata a seconda delle componenti che qualificano la preparazione alimentare, individuando la relativa classifica doganale e l’eventuale corrispondente voce della Tabella A allegata al Dpr 633/1972 (risoluzione 107/1998). L’analisi dovrà essere effettuata in base alle caratteristiche del piatto pronto ceduto:

-si applica l’Iva del 4%, ad esempio, alla cessione di «focacce genovesi all’olio con olive» (voce 15, Tabella A, parte II, e risoluzione 317/E/2008);

-si applica l’Iva del 10% alla cessione di «prodotti della panetteria fine, della pasticceria e della biscotteria» (voce 68, parte III); nella pizza, anche se la pasta sarebbe assoggettata all’aliquota del 4% della voce 15, parte II, va considerato anche il condimento, quindi, si ritiene applicabile il 10%;

-alla cessione di «estratti o essenze di caffè, di tè, di mate e di camomilla» si applica l’Iva del 10% (voce 76, parte III);

-va considerata la voce residuale 80, parte III, con Iva del 10%, dove dovrebbero rientrare i gelati artigianali e le crepes;

-si applica l’Iva del 22% al vino, alle bibite e alla birra.

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