Commercialista intercettabile per consigli illeciti
Sono pienamente utilizzabili le intercettazioni contro il commercialista che consiglia operazioni illecite. E poi, la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sui redditi e Iva scatta anche in via presuntiva per il trasferimento all’estero di considerevoli somme di denaro. La Corte di cassazione, con la sentenza 14007 di ieri, ha così confermato il sequestro di 1 milione e 200mila euro nei confronti di un farmacista che aveva trasferito circa 2 milioni su un conto aperto presso una banca del Dubai. Le prove acquisite dall’accusa erano in gran parte l’esito di intercettazioni telefoniche realizzate sull’utenza del commercialista, coindagato e ideatore del sistema di frodi secondo il pm.
La Corte puntualizza che il divieto di utilizzazione previsto dal Codice di procedura penale, all’articolo 271 comma 2, è istituito a tutela dell’esercizio della funzione professionale di un’ampia categoria, dagli avvocati ai medici, anche se non è stato formalizzato un vero e proprio mandato fiduciario, a patto che il professionista stesso sia messo a conoscenza del fatto, «ben potendo un libero professionista venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi a un soggetto dal quale non sia stato formalmente incaricato di alcun mandato professionale».
Il divieto perciò dispiega la sua efficacia quando le conversazioni hanno a che fare con l’attività professionale, ma le intercettazioni in questione sono invece pienamente utilizzabili perché il contenuto non riguarda la legittima cura degli interessi patrimoniali del cliente, quanto piuttosto le indicazioni date per il trasferimento delle somme all’estero, ampiamente al di fuori quindi del perimetro del legittimo esercizio di un incarico professionale.
La Corte osserva inoltre che nel caso in esame è sicuramente possibile la contestazione del reato previsto dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 74 del 2000 che punisce la sottrazione al pagamento dei debiti tributari riferiti a imposte sui redditi e Iva. È vero, ammette la Cassazione, che non esiste una condotta indirizzata a evitare proprio questo tipo di accertamento, ma tuttavia la tesi dell’accusa è che il farmacista «attraverso il loro clandestino trasferimento all’estero e, pertanto, tramite il loro occultamento all’azione di accertamento, verifica e controllo, istituzionalmente svolta dagli organi dell’amministrazione fiscale, abbia sottratto all’imposizione tributaria da adoperare su di essi, ingenti redditi maturati nella sua attività di farmacista e non dichiarato in sede di dichiarazione dei redditi».
Cassazione, III sezione penale, sentenza 14007 del 26 marzo 2018