Controlli e liti

Compensazione delle spese di lite da limitare

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di Giorgio Gavelli e Renato Sebastianelli

La motivazione è tutto. Nel giudizio tributario, come del resto in quello civile, la compensazione delle spese deve essere motivata con particolare accuratezza, poiché le norme si fondano sul principio di soccombenza quale espressione del principio di causalità, implicando che la parte che ha causato il giudizio, con il proprio comportamento rivelatosi contra ius, è tenuta alla rifusione delle spese anticipate dalla controparte. L’ordinanza 25594/2018 della Cassazione (depositata lo scorso 12 ottobre) consente di ritornare sul tema.

Spesso si assiste, nei giudizi di merito, a un ricorso massiccio all’istituto della compensazione, con motivazioni frettolose e stereotipate, soprattutto nelle ipotesi in cui è il contribuente a risultare vittorioso (si veda anche Il Sole 24 Ore del 2 luglio scorso).

La giurisprudenza della Suprema corte, invece, è imperniata su concetti del tutto diversi. La stessa ordinanza appena citata ricorda che l’immotivata compensazione delle spese finisce col pregiudicare il concreto esercizio del diritto di difesa garantito dall’articolo 24 della Costituzione, e ciò, in particolare, nelle liti di valore modesto, dove l’importo delle spese è tale da vanificare il pregiudizio economico che la parte ha inteso evitare ricorrendo al giudice tributario.

Il comma 2 dell’articolo 15 Dlgs 546/1992 (come modificato dal Dlgs 156/2015 di riforma del contenzioso tributario) stabilisce che le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria «soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate», ponendo quindi l’accento sulla “eccezionalità” della compensazione e sulla sussistenza di una esplicita giustificazione al suo utilizzo.

Inoltre, diversamente dal passato, viene anche previsto che l’ordinanza con cui il giudice decide sulle istanze cautelari debba contenere la pronuncia sulle spese della relativa fase di giudizio, decisione che conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito.

I costi del contenzioso

Le spese di lite comprendono il contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, il contributo previdenziale e l’Iva, ove dovuti. I compensi sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali, e per i soggetti non iscritti agli ordini si fa riferimento ai parametri previsti per i dottori commercialisti ed esperti contabili. Le spese a favore dell’ente impositore o dell’agente della riscossione si liquidano, invece, riducendo del 20% il compenso spettante agli avvocati (decreto 55/2014). Va ricordato che le spese di giudizio (circolare 38/E/2015):

sono maggiorate del 50% nelle controversie soggette alla procedura di reclamo/mediazione (articolo 17-bis Dlgs 546/1992);

restano a carico della parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta conciliativa di controparte, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti dalla sentenza inferiore al contenuto di detta proposta;

sono compensate in caso di conciliazione, salvo che le parti abbiamo disposto diversamente nell’accordo;

restano a carico della parte che le ha anticipate in ipotesi di estinzione del giudizio a seguito di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge (articolo 46, comma 2, Dlgs 546/92)

La procedura di riscossione

La riscossione delle spese a favore della parte pubblica avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Ai sensi dell’articolo 68, comma 1, del Dlgs 546/1992, le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente sono immediatamente esecutive, ma se l’importo supera i diecimila euro (spese di lite escluse), il pagamento può essere subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia. Il difensore con procura può chiedere al giudice la distrazione in suo favore degli onorari non riscossi e delle spese che dichiara di aver anticipato.

Quando non si deve compensare

Il tema più spinoso è proprio quella della compensazione, ammessa dal legislatore se vi è soccombenza reciproca o quando sussistono gravi ed eccezionali ragioni, da motivare espressamente (si vedano le schede).

Secondo la Cassazione non si possono compensare le spese con generici motivi di equità (ordinanza 14546/2015), con richiami superficiali a una presunta complessità del testo normativo, alla peculiarità del caso specifico, a un non bene definito contrasto giurisprudenziale (sentenza n24234/2016) o per il valore esiguo della causa (ordinanza 9716/2016).

Discorso a parte va fatto sulla lite temeraria. Il giudice, oltre a statuire sulle spese, condanna la parte soccombente al risarcimento del danno se essa ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (su richiesta di controparte); al pagamento di una somma equitativamente determinata «in ogni caso» in cui ravvisa una responsabilità aggravata (anche d’ufficio).

LE PRONUNCE

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