Il CommentoDiritto

Composizione negoziata e contratti, il ruolo del giudice nella ridefinizione

Il tribunale di Firenze riconosce per la prima volta al magistrato il potere di rivedere i contratti se troppo onerosi per via della pandemia

di Cristina Guelfi

Lo schema di decreto legislativo recentemente approvato dal Consiglio dei ministri che, in attuazione della direttiva Insolvency, introduce parziale modifiche al Codice della crisi d’impresa, mette, ancora una volta, al centro la composizione negoziata delle crisi.

In rilievo è l’articolo 10 del decreto legislativo 118/2021, che attribuisce al giudice il potere di rideterminare il contenuto dei contratti in pendenza di trattative tra debitore e creditore divenuti per l’imprenditore eccessivamente onerosi per l’effetto della crisi economica generata dalla pandemia. La finalità è assicurare la continuità aziendale.

Questo è quanto è stato previsto dalla recente sentenza n. 6754 del 1 marzo 2022 emessa dal Tribunale di primo grado fiorentino, che, a fronte della richiesta di una società di rideterminare secondo equità le condizioni commerciali di un contratto di fornitura perché divenute eccessivamente onerose, ha statuito che sussiste tale possibilità solo ed esclusivamente laddove l’impossibilità sia direttamente riconducibile al perdurare della crisi pandemica.

Si è dunque riconosciuto per la prima volta al giudice il potere modificare le clausole negoziali durante lo svolgimento della procedura di composizione negoziata per garantire l’operatività dell’azienda. Si è poi ampliato e attualizzato così il concetto di onerosità sopravvenuta tipica del contratto privato ricomprendendovi espressamente anche il fenomeno pandemico. Il giudice, nella sua valutazione deve effettuare a monte l’accertamento della situazione dello squilibrio patrimoniale o economico-finanziario e deve accertare la ragionevole prospettiva di risanamento dell’impresa. Il processo di valutazione dovrà poi essere rivolto anche alle ragioni che hanno impedito alle parti di raggiungere un accordo sulla rinegoziazione del contratto, il cui equilibrio sia stato compromesso dalla pandemia, oltre che della correttezza e buona fede del comportamento serbato dal debitore nella circostanza e della misura in cui la controparte debba essere indennizzata per non squilibrare eccessivamente il rapporto contrattuale in suo danno. Tutti elementi suscettibili di apprezzamenti diversi, potenzialmente idonei a generare controversie dall’esito non facilmente prevedibile.

Si è poi specificato che, a potere essere modificati, sono solo i contratti ad esecuzione differita, continuata o periodica, conclusi prima della diffusione del Covid – 19 e non anche i contratti di lavoro per i quali, in caso di mancata prosecuzione della continuità aziendale per eccessiva onerosità, si applicano le normali regole tipiche della cessazione del rapporto di lavoro.

Con la sentenza in commento il giudice di primo grado ha dunque accentuato la tendenza a favorire forme di “aggiustamento” giudiziario dei contratti nell’interesse esclusivo della continuità aziendale finendo così per aprire lo spazio dell’autonomia negoziale al potere regolatorio proprio di un provvedimento giudiziario.

A questo si aggiunga che l’esercizio di tale potere integrativo da parte dell’organo giurisdizionale è risultato, peraltro, subordinato alla presenza di alcuni presupposti espressamente indicati dalla stessa legge, primo fra i quali, che vi sia un nesso di causalità diretto e immediato fra la pandemia e l’eccessiva onerosità del contratto.

All’interno di questa cornice l’articolo 10, così come interpretato e applicato dal tribunale fiorentino, sembrerebbe attribuire all’organo giurisdizionale il potere di integrare temporaneamente il negozio giuridico solo se questo può ragionevolmente, sulla base di un giudizio prognostico, avere un impatto sulla prosecuzione dell’attività dell’impresa in stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario così come è stato previsto che, in ogni caso, il tribunale, prima di provvedere, deve acquisire il parere dell’esperto.

Sebbene non si sia giunti a formulare in termini generali la previsione di un obbligo di rinegoziazione in presenza di sopravvenienze, tuttavia, la giurisprudenza di merito ha previsto, seppure in maniera non unanime, la possibilità di ravvisare un potere di rinegoziazione fondato sul dovere generale di buona fede o sull’equità.