Controlli e liti

Conciliazione impossibile sui rilievi per indebita compensazione di crediti inesistenti

A Telefisco le Entrate bloccano la strada all’utilizzo di questo strumento di deflazione del contenzioso

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Continua la linea dura dell’Agenzia sulle contestazioni in materia di indebita compensazione di crediti di imposta ritenuti inesistenti. Nel corso del Telefisco è stato precisato che nei contenziosi relativi a tali violazioni non è possibile effettuare la conciliazione giudiziaria.

L’interpretazione pare ignorare che nessuna norma contempli una simile preclusione.

La conciliazione giudiziale è un istituto deflativo attraverso cui si può chiudere un contenzioso con il fisco. Si applica a tutte le controversie tributarie, in primo o in secondo grado. Essa può essere realizzata sia «in udienza» sia «fuori udienza» e permette al contribuente di usufruire di una riduzione delle sanzioni del 60% in primo grado e del 50% in secondo grado.

La sottoscrizione comporta l’estinzione del giudizio.

In termini concreti, in ipotesi di contestazione per indebita compensazione di crediti inesistenti, il contribuente, una volta impugnato l’atto, potrebbe tentare il perfezionamento di un accordo beneficiando della riduzione delle sanzioni irrogate.

La normativa di riferimento sulla conciliazione giudiziale (articoli 48 e seguenti del Dlgs 546/1992) non prevede alcuna esclusione specifica per le controversie relative ai crediti di imposta inesistenti.

Nonostante ciò, secondo l’agenzia occorre considerare la previsione di cui al comma 5 dell’articolo 13 del Dlgs 471/1997 in base alla quale nelle ipotesi di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del Dlgs 472/1997.

Queste previsioni consentono al contribuente, una volta ricevuto un atto impositivo che si decide di non impugnare, di definire le sanzioni in acquiescenza mediante il pagamento di una somma pari ad un terzo della sanzione irrogata.

A questo proposito l’Agenzia ritiene che da tale preclusione di definizione delle sanzioni per crediti inesistenti mediante pagamento in misura ridotta, consegua anche l’impossibilità di conciliare la eventuale successiva controversia pendente presso la commissione tributaria.

In caso contrario, precisa la risposta, la riduzione delle sanzioni che conseguirebbe dalla conciliazione, si porrebbe in contrasto con la corrispondente preclusione prevista con riferimento alla fase amministrativa.

Tale interpretazione lascia perplessi perché è evidente che si tratti di due istituti differenti disciplinati da regole diverse. Così il legislatore ha inteso negare la possibilità di beneficiare della riduzione della sanzione a un terzo nella fase amministrativa ove cioè il contribuente decida di prestare acquiescenza alla contestazione.

Differentemente per la fase giudiziaria, che comporta ben altri presupposti e risponde ad altre finalità rispetto alla fase amministrativa, il legislatore non ha introdotto alcuna specifica preclusione per la conciliazione in controversie concernenti i crediti di imposta inesistenti.

È fin troppo evidente che se l’ordinamento avesse inteso inibire la fruizione di un simile beneficio lo avrebbe espressamente previsto così come ha fatto per la fase ammnistrativa.

In concreto, però, la conciliazione presuppone l’accordo delle parti processuali (e quindi anche dell’Ufficio), pertanto, per quanto si possa criticare l’interpretazione espressa nel corso del Telefisco, di fatto in futuro sarà precluso il perfezionamento di simili accordi e non sussiste alcuna tutela per imporre l’applicazione dell’istituto.

Infatti l’eventuale diniego alla richiesta di conciliazione non è un atto impugnabile, rientrando una simile scelta, nella piena autonomia e discrezionalità delle parti processuali e quindi anche dell’ufficio.

Si spera in una revisione di questa interpretazione che, a ben vedere, rischia di danneggiare non solo il contribuente ma anche l’erario, perché, a queste condizioni, l’interessato proseguirà nel contenzioso, con buona pace degli istituti deflativi e del carico di lavoro crescente presso i giudici tributari e la Suprema corte.

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