Controlli e liti

Concordato, stop al prelievo sull’omologa con accollo

Secondo la Ctp Milano 4404/5/21 non si paga l’imposta di registro sulle somme riferite all’accollo del debito

di Alessia Urbani Neri

Il decreto di omologazione del concordato preventivo con intervento del terzo assuntore, non paga l’imposta di registro sulle somme riferite all’accollo del debito. In tal senso si è pronunciata la Ctp di Milano nella sentenza 4404/5/21 (presidente Nocerino, relatore Chiametti).

La vicenda riguarda la tassazione di una decreto del tribunale fallimentare di Milano, che disponeva l’omologa del concordato fallimentare di una società di capitali con l'intervento di un terzo assuntore, il quale, contestualmente all’acquisizione del residuo attivo della massa fallimentare, si accollava i debiti concorsuali. L’amministrazione, considerato il vincolo di derivazione delle due disposizioni riferite al debito societario e al residuo attivo che ne derivava, tassava ai sensi del secondo comma dell’articolo 21 del Dpr 131/86 la disposizione che dava luogo all'imposizione più onerosa, ossia l'accollo, in quanto scontava una imposta maggiore.

Il giudice di merito annullava l’avviso di liquidazione ritenendo applicabile , nel caso in esame, il comma 3, e non il comma 2, dell’articolo 21 per cui: «non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni».

Tale interpretazione è coerente con la funzione propria dell’imposta di registro volta a tassare il trasferimento di ricchezza, in quanto la parte acquirente arricchisce il suo patrimonio dietro versamento di un prezzo, che, nella fattispecie, altro non è che l'accollo del debito, quale corrispettivo per il trasferimento dell'attivo concorsuale.

Nel concordato preventivo con intervento di un terzo assuntore, disciplinato dall’articolo 160 del regio decreto 267/42 (legge fallimentare), il soggetto terzo acquisisce la massa attiva della procedura concorsuale, una volta adempiuti gli obblighi concorsuali mediante l’adempimento dei debiti societari accollati, entrando nella titolarità dei beni d’azienda, liberi da pesi e vincoli, e proseguendo così la gestione dell’attività d’impresa. Ora, essendo l’accollo dei debiti effetto necessario della procedura concorsuale, così come l’acquisizione della titolarità dei beni aziendali, ciò che deve essere tassato è la sola parte attiva residua del concordato, quale «ricchezza effettivamente trasferita», andando i debiti “accollati” a diminuire il valore dei beni trasferiti.

Quanto deciso dal collegio risponde al principio fissato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui: «In tema d’imposta di registro, al decreto di omologa del concordato fallimentare, con intervento di terzo assuntore, deve essere applicato il criterio di tassazione correlato all’articolo 8, lettera a), della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131 del 1986, con commisurazione dell’imposta in misura proporzionale al valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti e con esclusione, dalla base imponibile, del contestuale accollo dei debiti collegato a detta cessione dei beni fallimentari (Cassazione, ordinanze 11925/21 e 3286/18).

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