Controlli e liti

Confisca per equivalente e responsabilità degli enti, per i giudici il perimetro è ancora variabile

immagine non disponibile

di Riccardo Borsari

La possibilità di procedere alla confisca è legata alla presenza, nel patrimonio del destinatario, dei beni che ne costituiscono l’oggetto; la misura è pertanto destinata a rimanere infruttuosa nel caso in cui i beni da confiscare siano stati, ad esempio, distrutti, confusi con altri, trasformati, occultati o ceduti a terzi in buona fede.

Per rimediare a questo inconveniente, è stata introdotta nell’ordinamento, attraverso molteplici interventi legislativi, la possibilità di confiscare altri beni nella disponibilità del reo per un valore corrispondente a quelli la cui ablazione sia divenuta impraticabile (confisca c.d. “per equivalente” o “di valore”).

Si sono così gradualmente moltiplicate le ipotesi di confisca per equivalente, in particolare, nei reati a “sfondo economico”: la prima, nel 1996, con la novella dell’art. 644 c.p. in materia di usura; di seguito, ad esempio, con l’introduzione, nel 2000, dell’art. 322 ter c.p. in ambito di reati contro la Pubblica Amministrazione, e molte altre ancora.

Il perseguimento dell’effettività della confisca attraverso l’ablazione per equivalente di beni in alcun modo collegati al reato connota la misura in termini afflittivi, quale sanzione indirizzata al patrimonio del reo, e la rende estremamente efficace nel contrasto alla criminalità economica.

Il legislatore non ha rinunciato, perciò, a ricorrere alla confisca per equivalente anche nella disciplina della responsabilità da reato degli enti di cui al d.lgs. 231/2001, ove essa, espressamene qualificata come sanzione principale, può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato-presupposto, quando questi ultimi non possono essere confiscati direttamente (art. 19, co. 2).

Una prima questione interpretativa – alimentata dalla formulazione testuale dell’art. 19, co. 2, d.lgs. 231, in cui si ricorre al verbo «può» – ha riguardato l’obbligatorietà o la facoltatività di tale forma di confisca. I dubbi in proposito sono stati definitivamente risolti dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (sent. n. 11170/2014, “Uniland”), che hanno affermato la natura obbligatoria anche della confisca per equivalente, in ragione della sua natura di sanzione principale, certificata dal dato normativo (art. 9, co. 1, d.lgs. 231/2001). In questa prospettiva, dunque, il verbo «può» non implica la discrezionalità della misura, quanto, piuttosto, che la sua applicazione è condizionata all’impossibilità di procedere all’ablazione diretta.

Altra importante criticità, sulla quale invece la giurisprudenza sembra ancora oggi ben lungi dal pervenire a un definitivo assestamento, riguarda invece il rapporto tra confisca diretta e per equivalente quando l’ablazione ha per oggetto denaro o altri beni fungibili, destinati, per la loro particolare natura, a confondersi nel patrimonio del reo con altri di provenienza lecita.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con una pronuncia tanto celebre quanto discussa (sent. n. 10561/2014, “Gubert”), hanno infatti affermato che la confisca di detti beni sarebbe sempre da considerarsi come “diretta” e non per equivalente, quand’anche non vi sia la prova che essi provengano dall’illecito. Il bene fungibile, infatti, una volta entrato a far parte della sfera giuridico-patrimoniale del condannato, perde la sua autonomia e si confonde con il resto del patrimonio, determinandone l’accrescimento, ancorché venga successivamente investito, occultato o speso.

D’altro canto, solamente quando nel patrimonio del reo non vi sia disponibilità in numerario, si dovrebbe dare corso all’eventuale confisca per equivalente.
Si tratta di un orientamento che, assai discutibilmente, ha rivoluzionato quello in precedenza sostenuto dalle stesse Sezioni Unite circa la necessaria sussistenza del requisito di garanzia del nesso di derivazione dal reato anche in relazione ai beni fungibili (sent. n. 29951/2004, “Focarelli”), addivenendo, per tal modo, alla sostanziale abolizione della distinzione tra confisca diretta e confisca per equivalente.

Alla base della decisione vi era, con tutta probabilità, una logica per così dire efficientista, utile nel caso di specie a legittimare la confisca in via diretta dei beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal suo legale rappresentante, dato che la confisca di valore rimane ad oggi preclusa dalla mancata inclusione di tali fattispecie tra quelle presupposto della responsabilità da reato degli enti.

Nondimeno, a parte le criticità difficilmente sormontabili sul piano del rispetto dei principi fondamentali della materia penale (in particolare, riserva di legge), le argomentazioni addotte non convincono in quanto la natura fungibile del bene non ne preclude affatto il riconoscimento dell’eventuale nesso di derivazione dal reato.

Anche di una somma di denaro, infatti, può essere dimostrata la provenienza illecita, sia allorquando essa si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia ogni qual volta la stessa si sia confusa con altre nel patrimonio del reo, ad esempio, mediante deposito in banca o investimento in titoli; e, se si tratta di un’operazione possibile, seppure più complessa, non si vede come possa escludersene la doverosità sul piano giuridico.

Conseguentemente, per confiscare il denaro in via diretta rimane necessario individuare proprio le somme che rappresentano il profitto del reato, oppure altro denaro o beni in cui quelle specifiche somme sono state impiegate o trasformate; altrimenti, si deve necessariamente fare ricorso alla confisca per equivalente.

La questione si mantiene a tutt’oggi di perdurante attualità, se si considera che l’ultimo orientamento delle Sezioni Unite è stato di recente smentito da alcune pronunce delle sezioni semplici che hanno affermato la necessità di individuare il nesso di pertinenzialità col reato anche nella confisca diretta dei beni fungibili (così, ad esempio, sent. n. 15923/2015), e da altre che hanno negato la possibilità di assoggettare a confisca somme rispetto alle quali venga dimostrata l’assenza del nesso di pertinenzialità col reato (sent. n. 6816/2019).

Dette prese di posizioni non possono che condividersi dal momento che, indirizzandosi a mitigare i pericolosi automatismi derivanti dal pronunciamento delle Sezioni Unite, riportano al centro della riflessione il nesso di pertinenzialità quale fondamentale discrimine tra confisca diretta e confisca per equivalente.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©