Contratto di rete in agricoltura: ecco i requisiti
Il contratto di rete in agricoltura potrebbe prendere il largo dopo le importanti precisazioni fornite dall’agenzia delle Entrate nell’ambito di risposta ad una consulenza giuridica richiesta dalle tre maggiori organizzazioni sindacali agricole ( protocollo 954-84/2005 del 5 aprile 2017 ).
Si ricorda che il contratto di rete è una forma contrattuale, introdotta nell’ordinamento giuridico dall’articolo 3, comma 4-ter del Dl n. 5 del 10 febbraio 2009, con il quale più imprenditori si impegnano a collaborare al fine di creare nuove sinergie ed accrescere la propria capacità innovativa e loro competitività sui mercati interni ed internazionali.
L’articolo 1-bis, comma 3 del Dl 91/2014 convertito nella legge n. 116/2014 ha introdotto una innovativa previsione per i contratti di rete in agricoltura allo scopo di favorire una stretta collaborazione tra imprese agricole al fine dello sfruttamento in comune di varie potenzialità.
La normativa prevede due tipologie di contratti: la rete contratto e la rete soggetto. Nel settore agricolo non è conveniente la rete soggetto in quanto vi sono altre forme giuridiche come ad esempio le cooperative che sono meglio regolate normativamente e destinatarie di agevolazioni fiscali non previste per la rete soggetto.
La rete soggetto assume infatti una autonoma natura soggettività passiva ai fini fiscali, mentre la rete contratto non modifica la soggettività tributaria dei contraenti i quali pertanto mantengono la totale autonomia. Quindi la rete soggetto rientra tra gli enti commerciali o non commerciali diversi dalle società a seconda che svolgano o meno attività commerciale in via principale o esclusiva, è quindi un soggetto Ires.
Nella rete contratto, l’assenza della soggettività giuridica comporta anche l’assenza di soggettività fiscale, pertanto gli atti posti in essere dalla rete producono i loro effetti in capo ai singoli partecipanti.
Il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata oppure mediante atto firmato digitalmente da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, attraverso il modello standard tipizzato reso disponibile dal Ministero. Il contratto può anche prevedere la costituzione di un fondo patrimoniale (facoltativo) e la nomina di un organo comune incaricato di gestire in nome e per conto l’esecuzione del contratto.
Il contratto di rete “agricolo” deve essere formato da piccole e medie imprese come definite dal Regolamento CE n. 800/2008, e cioè quelle che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro ovvero il cui totale di attivo di bilancio non supera i 43 milioni di euro.
I presupposti della rete agricola
Si ricorda che il contratto di rete nel settore agricolo, consente di considerare la produzione ottenuta a titolo originario e quindi può essere divisa fra contraenti in natura con l’attribuzione a ciascuno, della quota convenuta nel contratto. Questo significa che la produzione ottenuta anche nel terreno di altri retisti, è come se fosse ottenuta nel proprio fondo con tutti i riflessi positivi previsti dalla normativa fiscale. Ad esempio se due agricoltori mettono in rete una superficie uguale di terreno e sul terreno di uno si coltiva frumento mentre sul terreno dell’altro si coltiva granoturco, alla fine della coltivazione ogni agricoltore possiede metà frumento e metà granoturco come produzione propria. Secondo la nota dell’Agenzia si verifica infatti la divisione della produzione comune acquisita ai sensi dell’articolo 922 del Codice civile, essendo in presenza di proprietà indivisa del bene e cioè della produzione agricola derivante dall’esercizio in comune dell’attività; non ci deve essere invece scambio dei prodotti ottenuti in quanto si tratterebbe di permuta e non di produzione comune.
La rete si realizza quando le imprese agricole mettono in comune i vari fattori della produzione (attrezzature, know how, risorse umane). Il contratto deve prevedere anche gli obiettivi in termini di innovazione e competitività che si intendono raggiungere. Quindi il contratto deve prevedere i diritti e gli obblighi assunti dai vari contraenti e le modalità per raggiungere tali scopi. Fondamentale è indicare nel contratto le percentuali di ripartizione del prodotto.
E’ altresì importante che fra i retisti vi sia pariteticità nei rapporti sia in termini di obiettivi che raggiungimento della produzione.
Ciò sta a significare l’attività svolta dai singoli retisti, oltre che ad essere una attività agricola sia anche la medesima per tutti (esempio produzione cerealicola, ortofrutticola, vitivinicola). Ciò non significa a nostro parere che i retisti non possano specializzarsi in una determinata tipologia di produzione, ma deve essere condivisa da tutti. Ad esempio se le aziende agricole hanno un indirizzo cerealicolo si ritiene possibile che nel terreno di una impresa si produca frumento e nell’altro granoturco a condizione che la coltivazione sia condivisa ed entrambi i retisti effettuino delle lavorazioni in entrambi i settori.
In sostanza secondo l’agenzia delle Entrate, che al riguardo ha interpellato il ministero delle Politiche agricole, è possibile considerare il prodotto ottenuto a titolo originario alle seguenti condizioni:
1) che tutti i singoli retisti svolgano attività agricole di base e che le eventuali attività connesse non siano prevalenti e solo complementari. Ad esempio non è configurabile la rete “agricola” nel caso in cui vi siano produttori di uve ed uno faccia esclusivamente la trasformazione in vino. A nostro parere tutti devono produrre insieme delle uve compreso il titolare della cantina ed eventualmente la produzione di vino per tutti i retisti potrebbe essere compensata dalle maggiori lavorazioni nei vigneti da parte dei produttori privi della cantina;
2) tutti i retisti devono mettere in comune una parte significativa dei terreni (non necessariamente tutti quelli posseduti);
3) tutti devono apportate in modo equivalente mezzi tecnici e risorse umane proporzionalmente al terreno messo in comune ed è vietato monetizzare le prestazioni o la rinuncia del prodotto;
4)cche la divisione dei prodotti avvenga in modo proporzionale agli apporti di ciascun partecipante;
5)cche la produzione oggetto di divisione non venga successivamente ceduta tra i retisti in quanto l’obiettivo è ottenere la produzione. Questo vincolo appare troppo stringente. Se i retisti si mettono insieme per valorizzare un prodotto, ad esempio la vite ed alla fine ripartono la produzione ottenuta, non si comprende perché non possano cedere la loro parte di uva a quel retista che possiede la cantina tenuto conto che per i produttori di uva senza cantina dovrebbero comunque cedere il prodotto ottenuto.
Gli aspetti fiscali
Rispettate le condizioni affinché il contratto rientri nella rete agricola la parte di prodotto ritirato da ogni retista essendo a titolo originario, non determina alcuna operazione rilevante ai fini Iva all’interno della rete; ciascuno fatturerà la sua parte al cliente finale. Nemmeno le prestazioni incrociate che i retisti hanno svolto nei fondi agricoli generano prestazioni di servizi da assoggettare ad Iva. Se i produttori agricoli partecipanti alla rete sono in regime speciale Iva di cui all’articolo 34 del Dpr n. 633/72, possono quindi detrarre l’imposta mediante le percentuali di compensazione.
Qualora i retisti diano mandato al capofila per la vendita dei prodotti, il soggetto che procede alla cessione di tutta la produzione potrà applicare il regime speciale soltanto sulla propria quota mentre dovrà applicare il regime normale sulla parte di prodotto degli altri retisti (vedi in generale la circolare della agenzia delle Entrate n. 20/2013 ). In questo caso i produttori agricoli fattureranno la loro quota al capofila il quale potrà detrarre l’Iva addebitatagli dagli altri retisti i quali per la loro parte di prodotto applicheranno il regime speciale Iva. La nota della Agenzia prevede che il capofila debba applicare le regole della contabilità separata ai sensi dell’articolo 36 del Dpr n. 633/72. A nostro parere ciò è eccessivo se magari tale rivendita riguarda una sola operazione; il capofila potrebbe benissimo regolare la vendita dei prodotti altrui mediante il regime della impresa mista di cui all’articolo 34 del Dpr n. 633/72. Il risultato non cambia nel senso per che la parte “commercializzata” l’Iva si applica sempre nei modi normali. Il capofila potrebbe agire nella vendita con mandato senza rappresentanza rimandando quindi ai singoli retisti l’obbligo della fatturazione.
Ai fini delle imposte dirette la fattispecie rientra nei casi di conduzione associata di cui all’articolo 33 del Tuir; il reddito agrario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun associato per la quota di sua spettanza. Quindi si deve tenere conto del reddito agrario per ogni terreno utilizzato per l’attività comune in rete. Quindi si devono sommare i redditi agrari dei singoli terreni messi in comune ripartendo il risultato successivamente in base alle rispettive quote di spettanza previste dal contratto di rete.