Contabilità

Contributo a fondo perduto da indicare nel bilancio 2020

L’aiuto previsto dal Dl 41/2021 è collegato alle difficoltà dello scorso anno. Non osta che il fatto sia successivo, visto che esisteva al 31 dicembre

di Franco Roscini Vitali

I provvedimenti a sostegno delle imprese suscitano quesiti con riferimento alle modalità di rilevazione e contabilizzazione in bilancio. È il caso del contributo a fondo perduto in favore degli operatori economici titolari di partita Iva (articolo 1 del Dl 41/2021).

Il contributo, non tassato, spetta se l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 è inferiore almeno del 30% rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2019.

Alla differenza tra i due valori si applicano percentuali differenziate in base all’ammontare di ricavi e compensi. Il quesito riguarda l’anno, per le imprese l’esercizio, di competenza nel quale contabilizzare il contributo: 2020 oppure 2021.

Il decreto è del 2021, ma ci sono ottime ragioni per ritenere corretta la contabilizzazione del contributo nei bilanci 2020.

Non si tratta di un problema tributario perché il contributo non è soggetto a tassazione e, in via generale, non si determinano conseguenze fiscali.

Ci sono due motivazioni a supporto della contabilizzazione nel 2020: la prima di buon senso, la seconda tecnica.

La prima riguarda lo spirito della norma che intende supportare economicamente le imprese dalla situazione che si è verificata nel 2020 che ha portato alla contrazione del fatturato (corrispettivi): infatti, il calcolo ha come base la diminuzione del fatturato 2020 rispetto al 2019.

Molti imprenditori, comprese piccole e medie realtà, si aspettano che il professionista che li segue contabilizzi il provento nel 2020 in modo da presentare alle banche una situazione contabile meno penalizzante.

La motivazione tecnica poggia su alcune considerazioni: la prima riguarda la “competenza” che è relativa ai bilanci 2020, mentre la rilevazione nei bilanci 2021 costituirebbe una sorta di “sopravvenienza attiva”.

L’obiezione potrebbe riguardare l’applicazione del principio Oic 29 nei paragrafi relativi ai fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio.

Il documento distingue tra fatti successivi che devono essere recepiti nei valori di bilancio e fatti che non devono essere recepiti: il discrimine risiede nell’esistenza o meno al 31 dicembre della situazione intervenuta successivamente.

Non vi è dubbio sul fatto che l’esistenza, ovvero il calo del fatturato, sussisteva a tale data, anche se la legge è intervenuta successivamente.

Non rileva, in questo caso, la risposta dell’Oic pubblicata nel 2018 che rispondeva al quesito riguardante la classificazione come fondo o come debito di un evento che ha trovato conferma nel successivo esercizio.

Il quesito posto all’Oic non riguardava la competenza del costo, ovvero il conto economico, che non era in discussione, ma riguardava lo stato patrimoniale, ovvero la classificazione tra fondo o debito.

Infatti, la risposta precisa che un fatto successivo può solo portare ad un aggiornamento delle stime del valore delle attività e passività già esistenti alla chiusura dell’esercizio tenuto conto delle condizioni in essere alla data di chiusura del bilancio: il fondo resta tale e non si tramuta in debito.

Nel caso dei contributi il problema dello stato patrimoniale non si pone perché nell’attivo sono previste solo voci di crediti: non è presente la distinzione che si trova nel passivo tra fondi e debiti.

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