Così la nuda proprietà esenta le quote cedute con il patto di famiglia
L’imposta di donazione non scatta anche se il disponente mantiene il diritto agli utili e l’usufrutto
Niente imposta di donazione per il patto di famiglia con il quale tre fratelli, comproprietari di una quota di partecipazione del 100% del capitale sociale della holding di famiglia (Beta), cedono alla comunione formata dai rispettivi figli la nuda proprietà della quota di controllo della holding, unitamente al relativo diritto di voto, mantenendo l’usufrutto della quota e il diritto agli utili in capo ai disponenti.
Così sancisce l’agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 37 del 7 febbraio 2020 - commentata in prima battuta sul Sole 24 Ore dell’8 febbraio -, ove afferma l’applicabilità al caso esaminato dell’agevolazione di cui all’articolo 3, comma 4-ter, del Dlgs 346/1990 (Tus, testo unico dell’imposta di successione), vale a dire la completa esenzione da imposta di donazione del trasferimento della quota di partecipazione che è oggetto del patto di famiglia.
Il meccanismo
Questo pronunciamento è assai interessante perché (si veda lo schema a fianco):
● prende in considerazione una fattispecie il cui presupposto è la costituzione di una holding (Beta) mediante il conferimento, da parte di tre fratelli, delle proprie individuali quote di partecipazione paritaria al capitale sociale di una società operativa (Alfa);
● da detto conferimento di quote della società Alfa fuoriesce una situazione di comunione tra i tre fratelli conferenti avente a oggetto l’intero capitale sociale della holding Beta;
● con un patto di famiglia, avente a oggetto una quota di partecipazione al capitale della società holding Beta, viene passato ai figli dei tre fratelli conferenti il controllo di Beta; e ciò, non attraverso il trasferimento del diritto di piena proprietà di una quota di controllo, ma mediante il trasferimento del solo diritto di nuda proprietà della quota di controllo (dotato del diritto di voto in assemblea), in quanto i disponenti mantengono, in comunione fra loro, il diritto di usufrutto (e il relativo diritto agli utili).
Si tratta, dunque, di un diritto di usufrutto “a contenuto limitato”: infatti, di regola, all’usufruttuario di una quota di partecipazione al capitale di una società spettano sia il diritto di voto in assemblea sia il diritto a riscuotere gli utili. Ma, mentre la titolarità del diritto agli utili non è mai sottraibile al soggetto titolare del diritto di usufrutto (che, altrimenti, subirebbe un attentato alla sua stessa intrinseca natura), la titolarità del diritto di voto non è inscindibilmente legata all’usufruttuario. Lo ammette il Codice civile, secondo il quale nel caso di usufrutto «il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, ...all’usufruttuario» (articolo 2352, comma 1).
L’esenzione
In sostanza, con la risposta 37/2020 (e con la coeva risposta a interpello 38/2020) si ottiene la certezza che l’esenzione da imposta di donazione (articolo 3, comma 4-ter, Tus) si consegue anche se la quota di controllo (quella che assicura il 50,01 dei voti nell’assemblea ordinaria della società partecipata e, cioè, l’assemblea dove si nominano le cariche sociali e si approva il bilancio) non sia trasferita, con patto di famiglia, per il diritto di piena proprietà, ma “solo” per il diritto di nuda proprietà, a condizione che il nudo proprietario, per convenzione con il disponente, abbia la titolarità del diritto di voto in assemblea ordinaria (e mantenga la titolarità della quota di controllo per almeno 5 anni dalla data del patto di famiglia).
Va notato, infine, che entrambe le risposte n. 37 e 38 riguardano casi in cui, in esito al patto di famiglia, vi è una situazione di comunione (tra i discendenti del disponente) con riguardo alla quota di controllo oggetto del patto stesso: nella n. 37 si tratta di tre fratelli che donano a una comunione formata dai loro rispettivi figli, nella n. 38 è un padre che pianifica il passaggio della sua quota di controllo a una comunione tra i suoi figli.
Altresì vi è da notare che le Entrate, non accennando nulla sul punto, evidentemente non rilevano nulla di elusivo nel fatto che tre fratelli “trasformino” le quote di partecipazione al capitale della società operativa di rispettiva individuale titolarità (che non sono quote “di controllo”, essendo di caratura inferiore al 50,01%) in una sola quota di partecipazione al capitale della società holding la quale, essendo di loro titolarità in regime di comunione, perciò diventa automaticamente una quota di controllo (coincidendo con il 100% del capitale sociale) e, quindi, suscettibile di beneficiare della predetta agevolazione di cui all’articolo 3, comma 4-ter, Tus.