Professione

Così le tariffe professionali resistono alla Ue

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di Marina Castellaneta

Le tariffe minime e massime obbligatorie finiscono nuovamente sotto i riflettori della Corte Ue. E una sconfitta per i loro sostenitori, in realtà, si trasforma, almeno in parte, in una vittoria. Questo perché la Corte di giustizia, con la sentenza depositata due giorni fa (C-377/17, si veda il Sole 24 Ore del 5 luglio) sugli onorari per la prestazione di servizi di progettazione di ingegneri e architetti, ha sì condannato la Germania per il sistema delle tariffe fisse, ma ha lasciato agli Stati la possibilità di prevederle nel proprio ordinamento per motivi di interesse generale. Inoltre, la Corte ha introdotto elementi di discrezionalità che rendono difficile comprendere in anticipo in quali casi le tariffe minime e massime possano essere incompatibili con il diritto Ue, riservandosi, inoltre, di effettuare una valutazione su coerenza e sistematicità delle regole adottate per perseguire l’obiettivo.

Un punto, però, è certo: in sé le tariffe non sono in ogni occasione un ostacolo alla libera prestazione dei servizi e non sono contrarie, in modo assoluto, alla direttiva 2006/123 relativa ai servizi nel mercato interno (recepita con Dlgs 59/2010). La Corte, infatti, lascia spazio agli Stati che possono invocare motivi imperativi di interesse generale – tra i quali rientrano la tutela del consumatore e un elevato livello di qualità delle prestazioni – per giustificare l’adozione di regole interne che fissano tariffe minime e massime. A patto, però, che siano rispettati i parametri individuati dalla Corte ossia che le misure interne non siano discriminatorie, siano necessarie e siano proporzionate all’obiettivo perseguito. Con ampi margini di discrezionalità sia per il legislatore sia per l’interprete. E questo proprio su un punto particolarmente importante per le professioni liberali.

Nella stessa causa, l’Avvocato generale Szpunar, nelle conclusioni depositate l’8 febbraio 2019, era stato molto netto: le tariffe minime e massime sono un requisito imposto dalla normativa nazionale che subordina l’accesso alla prestazione dei servizi (in quel caso di ingegneri e architetti) al rispetto delle regole sugli onorari. Di qui l’inclusione del sistema delle tariffe tra le restrizioni alla libertà di stabilimento perché «un nuovo soggetto che volesse inserirsi sul mercato è ostacolato nel suo intento». Szpunar va anche oltre sostenendo che l’articolo 15, paragrafo 2, lettera g), che impone agli Stati di accertare se l’ordinamento giuridico interno subordini l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio a requisiti discriminatori tra i quali vi sono le tariffe fisse, «persegue il preciso obiettivo di eliminare le tariffe fisse minime e massime definendo giuridicamente tali misure come restrizioni».

La Corte di giustizia, pur arrivando alla stessa conclusione ossia la non conformità al diritto Ue del sistema tedesco, non ha condiviso una posizione così netta. D’altra parte, già in passato gli eurogiudici, nella sentenza del 29 marzo 2011 (causa C-565/08), avevano dato torto alla Commissione che aveva avviato un procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia considerata inadempiente per le tariffe massime degli avvocati. In quell’occasione, la Corte aveva evidenziato che l’esecutivo non aveva fornito elementi e prove idonei a dimostrare che il sistema delle tariffe massime ostacolasse la libera circolazione dei professionisti. Punto centrale nella valutazione della Corte era stata la circostanza che non era stata fornita la prova che i professionisti fossero «privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci».

Nello stesso senso, nella sentenza del 5 dicembre 2006, nelle cause Cipolla e Macrino-Capodarte (C-94/04 e C-202/04), la Corte, seguendo l’orientamento già tracciato nella pronuncia Arduino, aveva stabilito che le tariffe minime obbligatorie, pur costituendo un ostacolo alla libera prestazione dei servizi, potevano essere giustificate per motivi imperativi di interesse pubblico.

La conclusione è analoga per le tariffe fisse minime e massime di ingegneri e architetti. Pertanto, la sentenza di ieri conferma i precedenti orientamenti della Corte e chiarisce che la direttiva 2006/123 impone la rimozione di ostacoli, tra i quali possono rientrare le tariffe. Queste, però, possono essere giustificate da motivi di interesse generale che le rendono ammissibili se adottate con misure proporzionali e se non vanno al di là di quanto strettamente necessario rispetto all’obiettivo perseguito. Anche se la Corte ha precisato che non si può richiedere agli Stati di dimostrare che nessun altro provvedimento permetta di raggiungere lo stesso obiettivo alle stesse condizioni. Detto questo, però, poiché l’onere della prova è sugli Stati, questi ultimi devono dimostrare la coerenza e la sistematicità delle regole interne per perseguire l’obiettivo inseguito con le tariffe.

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