Coworking e riaddebito dei costi, il Fisco spiazza i professionisti
Per chi incassa, la somma dovrebbe qualificarsi come una riduzione della spesa. L’agenzia delle Entrate ha invece definito proventi i rimborsi percepiti in un periodo successivo
La scelta del coworking, cioè l’uso comune di spazi e servizi con riaddebito dei costi da un professionista all’altro, è spesso una necessità, non solo per i giovani lavoratori autonomi ma anche per quelli con attività già avviata, che cercano di contenere gli esborsi per i locali e le utenze.
Ma quale disciplina fiscale va applicata al riaddebito di costi? Il tema può essere visto in termini più generali, analizzando la disciplina della percezione di somme che sono correlate a costi sostenuti, nel medesimo periodo d’imposta o in periodo precedenti. Inoltre, va segnalato il recente interpello 482 del 28 settembre scorso, che perviene a una conclusione che certamente spiazzerà molti operatori e che non sembra del tutto condivisibile.
Il riaddebito di costi
Immaginiamo la classica situazione del professionista che è locatario di uno studio e che riaddebita a un collega – che lavora nel medesimo studio – parte del costo della locazione, oltre che parte del costo delle utenze e dei consumi energetici. Il tema è stato oggetto di una nota pronuncia di prassi dell’Agenzia, risalente al 2001 (circolare 58/E, paragrafo 2.3), che ha codificato il corretto comportamento da tenersi a fronte del riaddebito, sia per chi incassa la somma riaddebitata, sia per colui che paga l’addebito. Per chi la incassa, la somma non viene qualificata come un provento, bensì come un minor costo: il che porta a concludere che non vi è alcun compenso tassabile per il professionista riaddebitante, il quale potrà dedurre come costo solo la quota effettivamente rimasta a carico, cioè al netto della parte riaddebitata.
La conseguenza di questa impostazione è che sul pagamento eseguito non va operata alcuna ritenuta d’acconto, poiché non siamo di fronte a un compenso, bensì a un minor costo deducibile.
Nella stessa circolare 58/E/2001 è stato affrontato anche il tema dell’Iva, arrivando a sostenere l’imponibilità del riaddebito, in quanto definibile come obbligazione di fare non fare o permettere da parte di un soggetto passivo Iva. Questa impostazione, sotto il profilo Iva, è certamente penalizzante in tutti i casi in cui chi subisce il riaddebito non è nella condizione di detrarre l’Iva (pensiamo ai medici che hanno in genere un pro rata di indetraibilità del 100%, o al soggetto forfettario) ed è stata oggetto di critiche da parte della dottrina (norma di comportamento Adc 93/1987), contestando il fatto che sia effettivamente realizzato il profilo soggettivo: è infatti vero che il professionista riaddebitante detiene la partita Iva, ma quest’operazione non potrebbe essere configurata come esercizio di arte o professione.
Il provento correlato a un costo
Ora proviamo ad ampliare il tema affrontando la casistica del provento incassato a fronte di un costo sostenuto. In realtà la questione è del tutto simile a quella affrontata sopra; l’ottica non è però limitata ai costi riaddebitati da un professionista all’altro, ma riguarda più in generale i proventi strettamente correlati a costi sostenuti.
Pensiamo al professionista che versa una sanzione per ristorare un proprio cliente da un errore compiuto, e che riceve dall’assicurazione professionale il risarcimento di tale costo. Se il risarcimento avviene nel medesimo periodo d’imposta in cui è stato sostenuto il costo potremmo ben parlare di minor costo deducibile, in maniera simile a quanto affermato sopra. Ma se il risarcimento (o più in genere) il provento correlato è incassato in un periodo d’imposta successivo? Questo è il tema analizzato dall’interpello 482 del 28 settembre 2022, in cui un professionista riceve una somma dal proprietario dell’immobile detenuto quale locatario, per aver versato canoni locativi maggiori del dovuto in anni precedenti.
A tutti gli effetti sembrerebbe di trovarsi di fronte a una classica sopravvenienza attiva, definita dall’articolo 88 del Tuir come il provento conseguito a fronte di oneri dedotti, ed è noto che le sopravvenienze attive non sono imponibile nella determinazione del reddito professionale. Invece, l’Agenzia, definendo tali somme come proventi correlati a costi dedotti, le ritiene fiscalmente rilevanti, anche riallacciandosi al precedente di prassi della risoluzione 356/E/2007. E proprio le pronunce richiamate dall’interpello, qualificando le somme come proventi, hanno giudicato necessaria l’operazione di ritenuta a titolo di acconto da operare al professionista percettore del riaddebito.
I CASI RISOLTI
1 - Canone riaddebitato per metà
Bianchi , avvocato in regime ordinario, è titolare del contratto di locazione dello studio che egli usa con il collega Rossi. Il canone è di 12.000 € annui e Bianchi incassa da Rossi, a inizio anno locativo, 6.000 € a titolo di rimborso.
La somma incassata da Bianchi va fatturata con Iva ordinaria. L’importo rappresenta una riduzione del costo locativo e Bianchi lo inserirà nel quadro RE del modello Redditi, a titolo di costo per canoni. Sulla somma incassata non va operata la ritenuta d’acconto.
2 - Utenze rimborsate e regime forfettario
Verdi, commercialista in regime forfettario, usa uno studio di proprietà, in cui svolge l’attività anche Gialli, commercialista in regime ordinario. Verdi, titolare del contratti per le utenze, riaddebita a Gialli la metà dei consumi, pari a 3.000 € annui.
La somma addebita da Verdi a Gialli non comporta l’Iva, posto che Verdi è in forfettario. L’incasso riduce il costo, ma l’operazione non modifica il reddito di Verdi (forfettario); mentre Gialli (regime ordinario) deduce la somma pagata, quale costo per utenze professionali.
3 - Costi restituiti come risarcimento
Mario Neri, architetto in regime ordinario, vince una causa contro la società Alfa Srl, che viene condannata a risarcirgli 4.000 €, quale rimborso dei costi sostenuti dall’architetto tre anni prima.
La somma, pur essendo un risarcimento di costi, secondo le Entrate viene qualificata come provento correlato a costi. Il quale va inquadrato come compenso professionale da assoggettare a ritenuta a titolo di acconto, similmente a quanto accadrebbe a fronte di una prestazione ordinaria.