Criptovalute, dalla prassi sui mercati il valore da indicare nel quadro RW
Un interpello non pubblicato del 2018 fa riferimento al valore di cambio, ma ci sono argomenti a favore del costo d’acquisto
La corsa del prezzo del bitcoin, che sta peraltro trascinando al rialzo molte altre criptovalute, accresce l’attenzione sugli adempimenti dichiarativi da porre in essere da parte dei detentori.
La posizione del Fisco
La posizione dell’agenzia delle Entrate si può sintetizzare così:
- le criptovalute sono un mezzo/strumento di pagamento (risoluzione n. 72/E del 2016 e risposta n. 14 del 2018) e pertanto «si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali» (interpello n. 956-39/2018);
- la detenzione di criptovalute deve essere oggetto di monitoraggio nel quadro RW, ma non è soggetta ad Ivafe «in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura ’bancaria’» (interpello 954-14/2018); l’agenzia delle Entrate parla infatti di «portafogli elettronici o ’wallet’ – conti digitali».
- secondo l’interpello n. 956-39/2018 (non pubblicato), ai fini della compilazione di RW «il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale».
Le criptovalute devono essere indicate nel quadro RW compilando la colonna 3 “Codice individuazione bene” con il codice “14”, omettendo di compilare la colonna 4 “Codice Stato estero” (data, per l’appunto, la loro “aterritorialità”) e barrando la colonna 20 “Solo monitoraggio” in quanto non soggette ad Ivafe.
Il valore da indicare in RW e le indicazioni sui mercati regolamentati
In realtà - proprio per l’assenza di indicazioni pubblicate dalle Entrate - il controvalore delle criptovalute da indicare nel quadro RW è tuttora oggetto di dibattito.
Su questo punto, si può ricordare la recente circolare 32/E del 23 dicembre 2020 che in materia di nozione di «mercati regolamentati» - pur non affrontando esplicitamente il tema delle criptovalute - fornisce elementi utili a un migliore inquadramento della questione.
Perché? Perché la nozione di “mercati regolamentati” assume rilevanza anche ai fini del monitoraggio fiscale, dato che nella circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013 in materia di quadro RW si afferma che «nell’individuazione del valore iniziale e finale, occorre fare riferimento al valore utilizzato per la determinazione della base imponibile dell’Ivafe, anche se non dovuta, così come meglio specificato nella circolare n. 28/E del 2 luglio 2012» e in tale ultima circolare si statuisce che nella determinazione della base imponibile dell’Ivafe «nel caso in cui le attività finanziarie abbiano una quotazione nei mercati regolamentati deve essere utilizzato [il valore di mercato]. (…) Per le azioni, obbligazioni e altri titoli o strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati (…) si deve far riferimento al valore nominale o, in mancanza, al valore di rimborso, anche se rideterminato ufficialmente. Qualora il titolo abbia sia il valore nominale che quello di rimborso, la base imponibile è costituita dal valore nominale. Infine, nell’ipotesi in cui manchi sia il valore nominale sia il valore di rimborso la base imponibile è costituita dal valore di acquisto dei titoli» (sottolineature aggiunte).
Dunque, seguendo questa impostazione le criptovalute dovrebbero essere valorizzate al valore di mercato nel quadro RW solo se fossero negoziate su «mercati regolamentati» mentre, in caso contrario, dovrebbero essere valorizzate al costo d’acquisto (in mancanza di un valore nominale e di un valore di rimborso). Non esistono, ad oggi, mercati regolamentati in cui siano negoziate criptovalute, nemmeno esteri.
L’agenzia delle Entrate afferma infatti, nella circolare 32/E/2020, che un mercato risponde a tale definizione se è “regolamentato” (ovvero dotato di un’organizzazione e di regole di funzionamento che garantisca una negoziazione regolare, in termini di esecuzione efficiente degli ordini, e quindi di volume delle contrattazioni), “riconosciuto” (ovvero riconosciuto dalle competenti Autorità) e “aperto al pubblico” (ovvero che, nella fissazione dei prezzi, favorisca l’incontro di domanda ed offerta di una pluralità di soggetti).
Secondo l’agenzia delle Entrate, sono poi equiparabili ai fini fiscali ai “mercati regolamentati” in senso proprio anche i “sistemi multilaterali di negoziazione”, in quanto entrambi hanno un insieme di regole predeterminate di negoziazione (il regolamento), il cui rispetto è verificato da un’Autorità. In altri termini, l’esistenza di “prezzi ufficiali” è il profilo regolamentare decisivo.
Un possibile criterio di valorizzazione
La conseguenza è che, in linea con la prassi ufficiale dell’agenzia delle Entrate in materia di quadro RW e in assenza di “mercati regolamentati” di criptovalute, il criterio per la loro valorizzazione nel quadro RW non dovrebbe essere il valore di mercato; con l’ulteriore corollario che - in mancanza di un valore nominale e di un valore di rimborso - tale valore dovrebbe corrispondere al costo d’acquisto.
È auspicabile, comunque, che sul punto intervenga una conferma esplicita delle Entrate, per dare maggiori certezze agli operatori.
È del tutto evidente, inoltre, che i contratti di natura finanziaria, gli Etc e i derivati su criptovalute che fossero negoziati su “mercati regolamentati” (secondo l’accezione fiscale del termine) dovranno essere valorizzati nel quadro Rw in base al valore di mercato.