Il CommentoControlli e liti

Crisi di liquidità, quando la forza maggiore «giustifica» l’omesso versamento

ADOBESTOCK

di Francesco Colaianni

È facile prevedere che la sospensione prolungata di numerose attività produttive comporterà un’importante crisi di liquidità per le imprese, che potrebbero non riuscire a far fronte alle proprie obbligazioni tributarie, oltre che a quelle nei confronti di dipendenti e fornitori.

In effetti, le conseguenze destabilizzanti sull’economia determinate dalla crisi epidemiologica in atto potranno in prospettiva verificarsi nonostante le (insufficienti) misure adottate dal Governo per “spostare in avanti” le scadenze dei versamenti di questo periodo e agevolare prestiti e finanziamenti alle imprese: misure previste dai Dl 18/2020 e 20/2020 e dai successivi provvedimenti.

Dal punto di vista degli adempimenti tributari connessi ai versamenti, le fattispecie penali che interessano in primis sono gli articoli 10-bis e 10-ter del Dlgs 74/2000. I quali puniscono chi omette di versare:
le ritenute dovute per un ammontare superiore a 150.000 euro per periodo d’imposta;
l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale per un ammontare superiore a 250.00 euro.

L’omissione diventa penalmente rilevante al verificarsi della scadenza di un determinato termine, coincidente con quello di presentazione del modello 770 per le ritenute, e con quello per il versamento dell’acconto per il periodo d’imposta successivo (27 dicembre) per quanto riguarda l’Iva.
Tenuto conto che, nel caso si verifichino tali condizioni (superamento della soglia e inosservanza del termine), in sede di controllo automatico delle dichiarazioni gli uffici presenteranno – altrettanto automaticamente – denuncia all’autorità giudiziaria penale, ci si chiede: la crisi di liquidità conseguente a un evento imprevedibile e inevitabile, quale la diffusione del coronavirus, può determinare l’esenzione da responsabilità dell’imprenditore/rappresentante legale della società?

La linea dura della Cassazione
Fino ad ora la giurisprudenza di legittimità ha assunto un atteggiamento rigoroso, ormai consolidato, nel valutare le cause di non punibilità e, più in generale, di esclusione della colpevolezza per i reati in questione, partendo dal presupposto che le condotte omissive sono punite a titolo di dolo generico. Significa che, per la consumazione dell’illecito, è sufficiente la mera consapevolezza da parte del soggetto obbligato di omettere il versamento dovuto entro il termine previsto, superando la soglia di legge. Eventuali crisi di liquidità «legate all’ineludibile rischio d’impresa» non sarebbero sufficienti ad escludere la punibilità (si veda, tra l’altro, Cassazione, sezione III, 8 aprile 2014 n. 20266).

La Cassazione fortunatamente lascia uno spiraglio ai fini dell’esenzione della responsabilità: l’applicazione del principio di “forza maggiore” previsto (ma non definito) dall’articolo 45 del Codice penale. In sintesi è possibile sostenere che la crisi economica rilevi quale esimente soltanto quando derivi in via esclusiva da circostanze contingenti, imprevedibili e non imputabili all’imprenditore, il quale si sia trovato nell’impossibilità di porre tempestivamente rimedio alla situazione per cause indipendenti dalla propria volontà.

Vale la pena di riportare un passo di una recente sentenza (Cassazione, sezione III, 28 novembre 2019, n. 9960, depositata il 13 marzo 2020): «…la forza maggiore si configura come un evento, naturalistico od umano, che fuoriesca dalla sfera di dominio dell’agente e che sia tale da determinarlo incoercibilmente (vis maior cui resisti non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita. Secondo questa ricostruzione, dunque, la forza maggiore si colloca su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo, ovvero nell’ambito delle situazioni in grado di escludere finanche la c.d. suitas della condotta».

Alla luce delle definizioni sopra enunciate è evidente come la crisi economica derivante da “emergenza sanitaria conseguente a coronavirus” possa – e debba – rientrare nei casi di “forza maggiore”.

Difficoltà da documentare
Tuttavia, nel valutare ogni caso in concreto è indispensabile, sempre seguendo l’insegnamento della Cassazione, adempiere all’onere probatorio/di allegazione. Ne consegue che, anche per quei settori in cui il rapporto di causa/effetto è più facilmente intuibile (si pensi a quello turistico, ad esempio, per cui resta evidente la disdetta improvvisa e totale delle prenotazioni ricevute), sarà indispensabile dimostrare che la situazione di disagio economico non fosse preesistente all’emergenza epidemiologica, la quale, come detto, dev’essere unica ed esclusiva causa del mancato versamento.

Sarà inoltre importante dimostrare come il contribuente abbia fatto tutto il possibile per reperire le risorse necessarie per l’adempimento delle obbligazioni tributarie, anche ricorrendo, per esempio, a quei finanziamenti/prestiti/agevolazioni previsti dall’attuale legislazione d’emergenza, senza aver ottenuto in tempo utile risultati soddisfacenti, per cause a lui non imputabili.

Soltanto dopo aver dimostrato le suddette circostanze, sarà possibile sostenere l’inevitabilità della scelta di dare continuità aziendale (pagando i dipendenti e i fornitori) sacrificando gli obblighi di versamento fiscale.

Naturalmente, l’esimente della “forza maggiore” non potrà mai essere invocata qualora l’imprenditore/soggetto obbligato, al fine di “camuffare” la propria situazione economica e con l’intento di superare i propri problemi di mancanza di liquidità, adotti comportamenti di natura fraudolenta. Se è vero infatti che simili condotte sono meno immediate da individuare rispetto agli omessi versamenti, è altrettanto vero che determinerebbero rischi molto più elevati sia per la persona fisica/rappresentante legale (dal punto di vista delle elevate pene edittali), sia per il patrimonio societario e personale (dal punto di vista delle confische e dei precedenti sequestri), sia per l’integrazione di un’autonoma responsabilità dell’ente ex Dlgs 231/2001 (recentemente introdotta anche per le fattispecie più gravi di reato tributario).

Spiragli (e auspici) interpretativi
È possibile – anzi auspicabile – che la giurisprudenza di legittimità riveda il proprio atteggiamento “rigoristico” attenendosi al dettato normativo, ma fornendo un’interpretazione che sia espressione del “diritto vivente”, in continua evoluzione, non avulsa dal presente momento storico e più vicina, tra l’altro, a buona parte della giurisprudenza di merito.

Già in passato, infatti, con alcune isolate pronunce relative al periodo della “crisi dei subprime” (anni 2007/2009), la Corte di cassazione ha sostenuto che, in presenza di crisi finanziaria, la convinzione del contribuente di dover versare ai dipendenti i mezzi di sussistenza necessari potesse portare alla conclusione di considerare insussistente il dolo del reato di omesso versamento, rivalutando in tal modo la categoria giuridica della “inesigibilità soggettiva della condotta”, quale diretta applicazione del principio costituzionale di colpevolezza.

Inoltre, qualora l’impresa riuscisse a mantenere la propria continuità, salvaguardandone tra l’altro il potenziale occupazionale, e a riprendersi in un momento successivo, sarà sempre possibile, prima dell’inizio del processo a carico del rappresentante legale, versare l’imposta dovuta maggiorata da sanzioni amministrative e interessi (probabilmente di importo eccessivo e sproporzionato, ma questo è un altro discorso), mandando assolto il rappresentante legale, così come previsto dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000.

Non si può non osservare, infine, che le fattispecie d’infedeltà fiscale di minor disvalore, fra le quali certamente rientrano quelle che puniscono gli omessi versamenti, dovrebbero essere presidiate in via esclusiva dalla sanzione amministrativa. Ciò consentirebbe, da una parte, di superare i problemi sopra esposti, soprattutto in un contesto economico drammatico come quello attuale; e d’altra parte, rendere più agevole la ripartizione tra l’illecito penale e quello amministrativo sulla base della gravità del fatto.