Professione

Dai professionisti sì a giudici fiscali a tempo pieno ma la riforma va rimodulata

Commercialisti e avvocati puntano il dito su giurisdizione che resta al Mef, limiti di impugnabilità e status dei magistrati<br/>

di Ivan Cimmarusti

I commercialisti chiedono che anche ai laureati in economia sia estesa la partecipazione al concorso per magistrato tributario, mentre assieme agli avvocati ritengono che sarebbe necessario ampliare l’impugnabilità delle sentenze del nuovo giudice monocratico anche per aspetti di merito e non solo di legittimità. Resta un tema divisivo la competenza del ministero dell’Economia a organizzare la giurisdizione.

Al netto delle opinioni, più o meno differenti, di fondo il coro dei professionisti è unanime: bene la riforma della giustizia fiscale, ma è tempo di modificare il testo approvato il 17 maggio scorso dal Consiglio dei ministri.

LE CINQUE NOVITÀ DELLA RIFORMA SOTTO OSSERVAZIONE

L’ok preliminare della Commissione Ue al progetto messo a punto dalla Guardasigilli Marta Cartabia (competente per la fase di legittimità) e dal ministro al Mef Daniele Franco (per la fase di merito) è il segno che la strada intrapresa è quella giusta. Ma per i professionisti sono necessari degli interventi di limatura del testo. La filosofia che sottende alle misure adottate piace, eppure ci sono aspetti organizzativi e procedurali che dovrebbero essere adattati alle esigenze non solo di commercialisti e avvocati ma anche dei contribuenti. Nella scheda in alto sono riassunte le posizioni degli Ordini e di alcune associazioni sui punti ritenuti più controversi: status del giudice, funzione del monocratico, prova testimoniale, conciliazione e amministrazione della giurisdizione.

La palla ora passa al Parlamento, dove si annunciano una pioggia di emendamenti. Il testo è approdato mercoledì scorso alla commissione Finanze del Senato. Ma già il 17 maggio scorso Forza Italia ha manifestato l’intenzione di cambiare alcune regole organizzative, come la competenza del Mef ad amministrare la giurisdizione.

Secondo il presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, Elbano de Nuccio, «il Ddl va nella giusta direzione della professionalizzazione della magistratura tributaria, ma non valorizza a sufficienza le competenze tecniche dei commercialisti e dei laureati in economia in materia di fisco, contabilità e bilancio, per cui occorre riportarli nell’alveo dei soggetti ammessi al concorso per giudice tributario. Da rivedere anche la preclusione all’impugnazione nel merito delle sentenze del giudice monocratico in primo grado sulle liti fino a 3mila euro».

Per la presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi «l’auspicio è che la riforma, nei suoi aspetti critici, sia emendata nel corso dell’iter parlamentare per non tradire gli obiettivi del Pnrr, dove le prospettive di rilancio economico risultano saldamente ancorate alla qualità dell’offerta di giustizia tributaria. Ossia, una giustizia che assicuri la miglior tutela degli interessi in gioco, che attribuisca il giusto peso e decoro a tutte le parti del processo tributario, che garantisca il rispetto dei principi di contraddittorio e la corretta applicazione delle norme».

Anche le associazioni scendono in campo: Marco Cuchel, presidente dell’Associazione nazionale commercialisti, ritiene la riforma «necessaria e improcrastinabile» ma precisa che «è altrettanto vero che per rendere maggiormente efficienti le diverse fasi del processo occorre preservare il principio di equità del processo, terzietà dei giudici e competenza degli attori chiamati a rappresentare e a giudicare. Con l’approvazione dello schema di Ddl siamo di fronte a un quadro sufficientemente chiaro per mettere in evidenza luci ed ombre di una riforma che ha ampi margini di miglioramento».

Antonio Damascelli, presidente dell’Unione nazionale camere avvocati tributaristi, afferma che «l’impianto su cui poggia il Ddl è da condividere nella sua filosofia di fondo e nei punti qualificanti: accesso alla magistratura tributaria tramite pubblico concorso e riserva in favore dei soli laureati in giurisprudenza. Sul processo si può intervenire ma se cadono quelle due architravi, che innervano lo spirito, cade tutta la riforma e chi la farà cadere se ne assumerà le responsabilità da subito».

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