Imposte

Dalla cessione tra privati una via per liquidare i crediti

Il blocco degli acquisti di crediti fiscali da parte delle banche e di Poste fa aumentare le cessioni ad altri soggetti

di Luca De Stefani

Il blocco degli acquisti di crediti fiscali da parte delle banche e di Poste (o dei fornitori, tramite lo sconto in fattura) sta facendo aumentare le cessioni dei crediti dei contribuenti e dei fornitori ad «altri soggetti», come ad esempio a società o associazioni professionali, al coniuge o a un parente, a un soggetto Iva impresa individuale o professionale (diverso dal contribuente stesso) ovvero ad un’altra società di persone o di capitali (riconducibile allo stesso contribuente o a terzi), per consentire a questi soggetti di utilizzare il credito d’imposta acquistato in F24, con la stessa rateizzazione prevista per la detrazione originaria.

Ad esempio, per compensare il credito con l’Imu, l’Iva, i contributi Inps o le ritenute fiscali dei propri dipendenti, cosa non possibile se il credito rimane nell’area delle detrazioni. La persona fisica, però, non può effettuare la cessione del credito alla propria posizione imprenditoriale individuale o professionale.

I crediti d’imposta edili possono essere ceduti, oltre che ai fornitori, alle banche e a Poste, anche ad «altri soggetti» e per la loro individuazione non si applica la definizione data dall’agenzia delle Entrate agli «altri soggetti privati», possibili cessionari delle vecchie cessioni dei crediti previste dal Dl 63/2013, i quali dovevano essere «collegati al rapporto che ha dato origine alla detrazione», limitando notevolmente la circolazione dei crediti stessi.

Il nuovo meccanismo di cessione dell’articolo 121 del Dl 34/2020, infatti, riguarda un contesto diverso rispetto alle vecchie cessioni dei crediti previste dal Dl 63/2013, pertanto, non operano le limitazioni descritte nella circolare n. 11/E/2018, in merito alle modalità delle cessioni e all’individuazione dei soggetti cessionari e non è necessario verificare il collegamento con il rapporto che ha dato origine alla detrazione.

Con la detrazione diretta in dichiarazione dei redditi, il contribuente ha l’obbligo di ripartire i bonus fiscali in più anni (in cinque anni per il superbonus dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 e per il sismabonus ordinario, in 4 anni per il superbonus dal 2022 e in 10 anni per gli altri bonus edili), con il rischio di perdere l’agevolazione in caso di incapienza. Anche perché la detrazione è possibile in maniera verticale, cioè Irpef da Irpef o Ires da Ires.

Purtroppo, con il nuovo meccanismo di trasferimento dei crediti dell’articolo 121 del Dl 34/2020, a differenza delle vecchie cessioni dei crediti previste dal Dl 63/2013, il cessionario o il fornitore non possono usufruire «negli anni successivi» dell’eventuale «quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno», come accade per la detrazione diretta da parte del contribuente che ha sostenuto la spesa. Inoltre, non possono chiedere il rimborso di quanto non utilizzato in compensazione. In questi casi di non utilizzo nell’anno della quota annuale ripartita, quindi, il bonus edile viene perso anche da parte del cessionario o del fornitore che ha effettuato lo «sconto in fattura» (articolo 121, comma 3, del DL 34/2020), come accadrebbe per la detrazione in capo al contribuente.

Pertanto, se il privato cessionario (impresa, professionista, società o altra persona fisica) nei prossimi quattro anni ha capienza nel proprio F24 (per Imu, Irpef, Ires, Iva, contributi Inps o altri debiti tributari o previdenziali), può accettare l’acquisto del credito da una persona fisica che ha sostenuto le spese del superbonus nel 2022 (o da un fornitore, dopo lo sconto in fattura). Se la comunicazione di cessione avverrà entro il 31 dicembre 2022, potrà iniziare a compensare la prima rata di quattro già dal 10 gennaio del 2023.

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