Controlli e liti

Dalla Consulta uno stop alle troppe spese indeducibili

La pronuncia 262/2020 sull’Imu aiuta a capire quali limitazioni sono ammesse. Il contribuente dovrebbe dimostrare l'inerenza solo dopo la prova del Fisco

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Alle mere esigenze di gettito «il legislatore è tenuto a rispondere in modo trasparente, aumentando l’aliquota dell’imposta principale, non attraverso incoerenti manovre sulla deducibilità, che si risolvono in discriminatori, sommersi e rilevanti incrementi della base imponibile a danno solo di alcuni contribuenti”. Questo passaggio della sentenza 262/2020 della Corte costituzionale (sull’indeducibilità dell’Imu) può essere considerato una sorta di “pietra miliare” per qualsiasi legislatore presente, passato e soprattutto futuro, visto che ora si parla insistentemente di riforma fiscale. Infatti, il più delle volte le discussioni su un’eventuale riforma vertono sulle aliquote, mentre andrebbe compreso che l’aspetto maggiormente significativo, per molte categorie reddituali, risulta quello della base imponibile. Questo, in particolare, nel reddito d’impresa e in quello di lavoro autonomo, dove sono presenti innumerevoli forme di indeducibilità.

La Consulta non esclude in assoluto che il legislatore possa prevedere limiti alla deducibilità dei costi nell’attività d’impresa (e, quindi, anche in quella professionale), ma questo si deve giustificare, in termini di proporzionalità e ragionevolezza, al fine di: a) evitare indebite deduzioni di spese di dubbia inerenza; b) evitare ingenti costi di accertamento; c) prevenire fenomeni di evasione o elusione. Pensiamo alla deduzione limitata delle spese relative agli autoveicoli o alle spese di rappresentanza (si veda la scheda a fine articolo). Oppure, sempre secondo la Consulta, si deve trattare di riprese fiscali disapprovate dall’ordinamento, come i costi da reato.

Fuori da queste ipotesi, le deroghe alle deducibilità, dunque, non possono essere giustificate. In proposito, viene a mente la questione della presunta indeducibilità delle quote di ammortamento degli immobili strumentali per i professionisti. Secondo le Entrate, la deduzione spetterebbe soltanto per gli immobili acquistati o costruiti fino al 14 giugno 1990 oppure acquistati nel triennio 2007-09. Per gli altri immobili, nonostante la norma dell’articolo 54 del Tuir non escluda la deduzione degli ammortamenti, non sarebbe invece consentita. Si tratta, però, di un’interpretazione errata e, a questo punto, contrastante con i precetti costituzionali. Parimenti, la questione si pone per le spese incrementative dello stesso immobile strumentale del professionista. Se, infatti, si accetta la tesi che le quote di ammortamento non risultano deducibili, non lo sarebbero nemmeno le spese di natura incrementativa.

Ad ogni modo, rimane fermo che, secondo la Consulta, l’ampia discrezionalità del legislatore tributario nella scelta degli indici rivelatori di capacità contributiva non si può tradurre in un potere discrezionale altrettanto esteso nell’individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile.

Peraltro, sempre la Consulta rileva che il legislatore ha espressamente identificato per gli imprenditori il presupposto dell’imposizione nel possesso di un «reddito complessivo netto». Tale indice di capacità contributiva risulta caratterizzato dal principio di inerenza, che giustamente la stessa Consulta individua in quel giudizio di carattere qualitativo, che opera su un livello “preventivo” generale e più alto rispetto alle singole disposizioni del Tuir, essendo volto a cogliere se si realizza quel necessario collegamento, anche in via prospettica, tra il componente economico e l’attività dell’imprenditore. L’inerenza, in definitiva, rappresenta una sorta di pre-requisito generale, in base al quale devono essere fatti confluire nella determinazione del reddito solamente quei componenti economici che hanno un collegamento con l’attività esercitata da parte dell’imprenditore.

Queste conclusioni rivelano quanto risultino erronee quelli tesi, costantemente espresse dalla Cassazione, in base alle quali l’onere della prova sull’inerenza graverebbe sul contribuente. I giudici di legittimità non considerano, infatti, che la determinazione del reddito d’impresa è un valore netto, dato dalla contrapposizione di componenti positivi e negativi di reddito.

La Cassazione non comprende, in sostanza, che la deduzione di un componente negativo di reddito non è una gentile concessione del legislatore, così da renderla assimilabile a un diritto (nell’ottica dell’articolo 2697 del Codice civile) attribuito al contribuente. La deduzione di una spesa rappresenta invece un passaggio necessario ai fini della rappresentazione unitaria del risultato imputabile alla specifica fonte produttiva (quella dell’attività d’impresa). Sicché la configurazione unitaria attribuibile all’attività d’impresa impedisce di considerare la deduzione di un costo come una sorta di diritto slegato dalla fattispecie imponibile.

Il contribuente, pertanto, non deve dare alcuna prova dell’inerenza di un costo (anche se per l’inerenza, che è vicenda valutativa, si tratterebbe in realtà di un onere di allegazione, più che di prova), se non dopo che l’amministrazione ha provato la fondatezza della propria pretesa.

IL QUADRO

1. La pronuncia 262/2020
Per la Corte costituzionale si possono giustificare forme di deducibilitaà parziale o di indeducibilità dei componenti negativi di reddito solo per:
- evitare indebite deduzioni di spese di dubbia inerenza;
- evitare ingenti costi di accertamento;
- prevenire fenomeni evasione o elusione;
- penalizzare condotte disapprovate dall’ordina-mento (costi da reato).

2. La motivazione
Per la Consulta, «fuori da queste ipotesi le deroghe stentano a trovare adeguata ragione giustificatrice: alla mera esigenza di gettito, in particolare, il legislatore è tenuto a rispondere in modo trasparente, aumentando l'aliquota dell’imposta principale, non attraverso incoerenti manovre sulla deducibilità».

3. Le applicazioni
Non sono coerenti con i principi dettati dalla Consulta:
- ammortamenti di immobili strumentali all’esercizio dell’attività professionale;
- spese di natura “incrementativa” relative agli immobili strumentali all’esercizio dell’attività professionale.

Risultano invece coerenti:
- deduzione limitata delle spese relative agli autoveicoli (articolo 164 del Tuir);
- deduzione limitata delle spese di rappresentanza (articolo 108 del Tuir)

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