Controlli e liti

Delega di firma sull’avviso, al Fisco la prova sulla validità

immagine non disponibile

di Antonio Zappi

Spetta alle Entrate fornire la prova circa la legittimità della delega alla sottoscrizione dell’atto quando un contribuente contesta un avviso di accertamento per il suo invalido rilascio. Se, quindi, la parte pubblica non produce in giudizio un atto di delega di firma con i presupposti di validità della stessa, indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione 22803/2015), «limitandosi a produrre una delega non nominativa, priva di termini di efficacia, oltre che accompagnata da un corredo motivazionale del tutto generico ed apodittico», l’avviso di accertamento è nullo. A queste conclusioni è giunta la Ctr Veneto con la sentenza 964/07/2018 ( clicca qui per consultarla ).

Ricostruendo l’articolato quadro normativo della questione e richiamando l’interpretazione data dalla Suprema corte all’articolo 42 del Dpr 600/1973, il quale disporre che, a pena di nullità, l’atto impugnato debba essere sottoscritto dal capo dell’ufficio o da un funzionario della carriera direttiva validamente delegato, i giudici veneti hanno confermato il principio secondo cui un avviso di accertamento è nullo se le Entrate producono in giudizio una delega «in bianco», ovvero riferita genericamente a un «capo area» o a un «capo team» e non ad un funzionario specificatamente individuato. In altri termini, senza l’indicazione nominativa del soggetto che può firmare gli atti, o con una generica motivazione sulle ragioni della delega, la sottoscrizione di un accertamento non è legittima.

Nel caso esaminato, il contribuente, nel proporre appello contro la sentenza di primo grado (che aveva respinto un ricorso con il quale lo stesso contestava maggior reddito ed imposte accertate a seguito di indagini finanziarie), riproponeva le censure del ricorso introduttivo, tra cui il difetto di sottoscrizione degli atti impugnati e le Entrate si costituivano in giudizio eccependo l’infondatezza dell’impugnazione avversaria. Dalla motivazione della sentenza emerge, però, che gli accertamenti non solo erano stati sottoscritti da un funzionario non munito di valida delega, ma che l’Agenzia, in sede di appello, ha sostituito un allegato della delega irregolare con un documento diverso da quello del primo grado e che avrebbe sanato il vizio.

I giudici della Ctr, a fronte della «palese incongruenza» e pur senza prendere posizione sull’eventuale intenzionalità di un errore che l’ufficio non ha saputo spiegare, non hanno mancato di sottolineare «la perplessità che suscita la condotta processuale dell’amministrazione, che in appello ha prodotto documentazione diversa da quella esibita in primo grado ed oggettivamente non correlabile all’atto di asserita delega». Accogliendo l’appello del contribuente, le Entrate sono state condannate al pagamento di 5mila euro per spese di lite, cifra non esigua, ma le conseguenze avrebbero potuto essere ben più gravi se i giudici avessero acclarato mala fede o colpa grave in tale comportamento in giudizio.

Ctr Veneto, sentenza 9364/07/2018

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©