Imposte

Diritti di cubatura alla prova dell’affrancamento di valore

Una risposta delle Entrate disconosce la natura di plusvalenza del provento. Per la Cassazione la cessione di cubatura è trasferimento di diritti non reali

di Giorgio Gavelli

La riproposizione, per il 2023, della rideterminazione di valore delle aree edificabili possedute da soggetti che non le detengono in regime d’impresa (ad opera dei commi 107 e seguenti dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2023) rischia di perdere un pezzo importante.

Infatti, in conseguenza della risposta ad interpello n. 69/2023, è assai probabile che non sia più ritenuto percorribile l’affrancamento di valore ai fini della cosiddetta «cessione di cubatura», venendo disconosciuta la natura di plusvalenza del provento ottenuto. Vediamo perché.

Con circolare n. 1/E/2013 (paragrafo 4.2) l’Agenzia ha affermato che i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale sono trascrivibili e, pertanto, godono del medesimo regime pubblicitario dei diritti reali su beni immobili. Conseguentemente, lo ius aedificandi può essere considerato distintamente ed autonomamente rispetto al diritto di proprietà del terreno, per cui il relativo valore può essere assoggettato (da parte dei soggetti che ne dispongono al di fuori del regime d’impresa) al meccanismo di rideterminazione del valore dei beni, versando l’imposta sostitutiva ed evitando così, in sede di successiva cessione e sino all’importo affrancato, di pagare l’Irpef ordinaria sulla plusvalenza. All’epoca, tale interpretazione delle Entrate (espressa anche con la risoluzione n. 233/E/2009) risultava conforme alla posizione assunta nell’ambito dell’imposizione indiretta (risoluzione n. 250948/1976, circolare n. 27/E/2012), dove la «cessione di cubatura» era stata assimilata al trasferimento di un diritto reale immobiliare, come spesso affermato in quegli anni dalla giurisprudenza di Cassazione (pronunce 10979/2007 e 6807/1988).

Fatto sta che le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza 16080/2021, hanno negato tale assimilazione, affermando come la fattispecie in esame costituisca il trasferimento di un diritto edificatorio non reale a contenuto patrimoniale. Per effetto di ciò, la risposta ad interpello n. 69/2023 afferma esplicitamente come «la tesi dell’assimilazione della cessione di cubatura ad un trasferimento di un diritto reale... debba considerarsi superata», essendo tale operazione da qualificarsi come «prestazione di servizi» dipendenti da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere.

Sebbene tanto la sentenza di Cassazione n. 16080/2021, quanto la risposta ad interpello del 18 gennaio scorso abbiamo ad oggetto l’imposizione indiretta, appare difficile che l’agenzia delle Entrate non riveda la propria posizione anche ai fini delle imposte dirette. Se così fosse, la cosiddetta «cessione di cubatura» non verrebbe più inquadrata tra i redditi diversi come operazione produttiva di plusvalenze (ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera b, del Tuir) quanto (presumibilmente) di redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere (articolo 67, comma 1, lettera l), determinati (ai sensi del successivo articolo 71, comma 2), come differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione. Ciò renderebbe inutile l’affrancamento di valore e si porrebbe il problema di chi ha già pagato, negli anni scorsi, l’imposta sostitutiva confidando sull’orientamento dell’agenzia delle Entrate e in attesa di cedere il diritto.

A ben vedere, si tratta del percorso inverso rispetto a quanto accaduto con il diritto di usufrutto sulle aree non acquisito separatamente, dove la Cassazione (sentenze n. 15333/2014 e n. 14847/2018) ha ricondotto la fattispecie nell’ambito delle plusvalenze, determinando un ripensamento delle Entrate (circolare n. 6/E/2018 che supera la circolare 36/E/2013).

Il tema va quindi affrontato in via ufficiale anche nell’imposizione diretta, senza dimenticare le conseguenze del possibile mutamento interpretativo, ad esempio riconoscendo lo scomputo (o il rimborso) dell’imposta sostitutiva versata in questi anni.

Risulterebbe anche fuori luogo applicare la nuova interpretazione alle operazioni già concluse seguendo le istruzioni precedentemente impartite.

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