Il CommentoImposte

Disciplina equa e stabile per un corretto rapporto contribuente-fisco

La legge di Bilancio è un abito rappezzato, con tanti bonus, misure emergenziali e varie flat tax. Ma ciò che Governo e Parlamento devono edificare è un nuovo sistema tributario

di Enrico De Mita

La legge di Bilancio 2023 restituisce, con le sue misure spot, un’immagine ancora distorta del rapporto tra Fisco e contribuente.

È il segno grafico e normativo della necessità di una nuova stagione fondata sull’equità. Il che significa che oggi la disciplina tributaria è iniqua. Lo è quando ricorre a misure emergenziali come se fossero una soluzione sistematica. Altrettanto quando mantiene l’eccesso dell’aliquota come legittimazione di un fisco espropriativo. Similmente quando evoca le figure abusate della tregua, della pace, della riduzione della pressione, della rottamazione, quasi che il rapporto fisiologico con il fisco sia di guerra, di contrasto, di schiacciamento o, ancora, quasi che l’obbligazione tributaria, nella sua declinazione esiziale, diventi un rottame non più in uso e da scontare a peso, avendo perso l’identità originaria. L’abitudine non crea il concetto. Al contrario è il concetto originario che deve impostare una nuova consuetudine giuridica.

Risulta evidente che serve un nuovo vocabolario. La nostra Costituzione è, anzitutto, una mirabile composizione linguistica. Ad essa restituiamo l’esposizione del rapporto tra Fisco e contribuente, distante tanto dalla dottrina del fisco quanto dal pregiudizio contra fiscum.

La funzione impositiva nasce dalla legge, applicata dall’atto di accertamento del privato che deve identificarsi con i principi fondanti dell’interesse fiscale, costituzionalmente orientato.

Appropriarsi di una corretta concezione del rapporto obbligatorio tributario, informato al principio di capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione) significa appropriarsi della posizione della persona (articolo 2 della Costituzione), prima ancora che del cittadino, nella comunità sociale.

L’abito rappezzato che la legge di Bilancio 2023 ci riconsegna, al di là dei filtri distorsivi, è un’antologia di superbonus (il pasticcio infinito del 110% tra volontà e non potere), proroga bonus mobili, finto respiro di libertà (contante elevato a 5.000 euro); definizioni agevolate di avvisi bonari, liti fiscali pendenti, cartelle e ruoli; ravvedimenti speciali, flat tax incrementale, misure emergenziali contro il caro energia tra annullamento di oneri generali di sistema, bonus sociali e crediti d’imposta per l’acquisto di carburante.

Parliamo di «pacchetti» più o meno articolati per famiglie, lavoro e imprese. Ma ciò che Governo e Parlamento devono edificare è un nuovo sistema tributario. Non si tratta di ampliare i regimi forfettari o i regimi sostitutivi, sino all’aberrazione di immaginare un regime fiscale delle mance nei settori della ristorazione e delle attività ricettive. L’orizzonte del legislatore deve muoversi davvero dalla tassazione delle donazioni manuali o minimali? sulle quali non può appuntarsi l’attenzione del riformatore responsabile.

La legge di Bilancio, per esempio, procede nella giusta direzione quando riduce la tassazione sulle somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato a titolo di premi di risultato o partecipazione agli utili d’impresa. O ancora, quando allude ad una politica fiscale di favore per l’acquisto della prima casa o di esenzione Imu per immobili occupati. Il coraggio politico di un nuovo condono generale è mancato, ed è comprensibile. Ma una rivoluzione epocale del sistema tributario non può escluderlo, collocandolo nella funzione di introdurre una nuova stagione tributaria, della certezza della norma e della sanzione delle nuove violazioni. In altre parole, l’applicazione del principio di uglianza formale e sostanziale (articolo 3 della Costituzione), impone l’elaborazione di un sistema normativo chiaro e di immediata applicazione, risposta univoca all’incertezza, tutta italiana, dello «stare non decisis» e delle disfunzioni nomofilattiche che falsano la concorrenza e che continuamente ispirano il genio eroico degli operatori economici che vogliono sopravvivere e rimanere competitivi rispetto ai loro colleghi esteri.

Prevedere una disciplina tributaria equa, certa e stabile rappresenta la premessa, costituzionalmente necessitata, per la certezza operativa, attuativa e progettuale. Fiducia e collaborazione tra cittadino e fisco richiedono aliquote eque e stabilità normativa, senza deleghe in bianco alle sentenze additive dei giudici.

(ha collaborato Francesco Cesare Palermo)