Imposte

Disparità tra strumenti di equity e di debito

di Angelo D’Ugo e Alessandro Germani

Per superare il bancocentrismo tipico del nostro sistema finanziario e canalizzare il risparmio verso le imprese, in particolare le Pmi, la legge di bilancio 2017 ha introdotto da un lato i Pir , rivolti al retail e dall’altro gli investimenti a medio lungo termine destinati alle casse di previdenza e ai fondi pensione .

Questi secondi implicano una cospicua detassazione degli investimenti effettuati e si vanno a sostituire al credito di imposta del 6% e del 9% introdotto con la legge di stabilità 2015 a fronte dell’incremento dell’aliquota sulle rendite finanziarie dal 20% al 26% per le casse e dall’11,5% al 20% per i fondi pensione.

Sotto il profilo soggettivo la misura è rivolta a:

•gli enti di previdenza obbligatoria disciplinati dal Dlgs 509/94 e 103/96 (comma 88);

•le forme di previdenza complementare (Dlgs 252/05 comma 92), destinando somme fino al 5% dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente.

Il limite del 5% ha valore esclusivamente ai fini delle disposizioni in questione, ma non pone alcune vincolo quantitativo agli investimenti che questi soggetti istituzionali possono effettuare.

Dal punto di vista oggettivo gli investimenti potranno avvenire (comma 89):

•direttamente in azioni o quote di imprese residenti in Italia o in Stati Ue o appartenenti al Se purché dotate di stabile organizzazione in Italia;

•indirettamente in Oicr residenti in Italia o in Stati Ue o appartenenti al Se che investano prevalentemente negli strumenti finanziari precedenti.

In ambedue i casi la norma mira inequivocabilmente a convogliare il risparmio verso le imprese residenti, ricomprendendo a tal fine anche le branch di soggetti esteri.

Per gli enti di previdenza obbligatoria i redditi degli investimenti, a eccezione di quelli relativi a partecipazioni qualificate, sono esenti ai fini dell’imposta sul reddito (comma 90). Lo stesso dicasi per le forme di previdenza complementare, per le quali essendo i relativi redditi degli investimenti esenti, non concorrono a formare la base imponibile soggetta alla sostitutiva del 20%.

Gli strumenti finanziari devono essere detenuti per almeno 5 anni e, in caso di cessione anticipata, i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli percepiti durante il periodo minimo di investimento sono assoggettati a imposta sostitutiva in misura corrispondente a quella prevista dalle norme ordinarie (per le casse di previdenza) oppure alla sostitutiva del 20% (per i fondi pensione) unitamente agli interessi ma senza applicazione delle sanzioni. In caso di rimborso o scadenza dei titoli prima dei 5 anni, il reinvestimento negli strumenti del comma 89 deve essere effettuato entro 90 giorni.

Viene previsto che la ritenuta sui dividendi e l’imposta sostituiva sugli utili da azioni in deposito accentrato presso la Monte Titoli non si applicano agli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti in Stati Ue o See derivanti dagli investimenti qualificati fino al 5% dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente purché siano detenuti per 5 anni. La misura sembra finalizzata ad agevolare il risparmio dei fondi pensione esteri che affluisce nelle strutture imprenditoriali nazionali.

Un’attenta lettura delle norme rende tuttavia evidente una disparità di trattamento fra gli strumenti di equity e quelli di debito. Infatti, gli investimenti qualificati delle casse e dei fondi pensione riguardano gli strumenti finanziari del comma 89, che ricomprende l’investimento azionario diretto e quello indiretto (tramite Oicr). Non v’è dunque traccia degli strumenti di debito, che restano esclusi da questa importante agevolazione. Ciò pone degli interrogativi sotto un duplice profilo. Da un lato, infatti, significa tagliare fuori tutto il mondo del private debt che in Italia è appena nato e andrebbe aiutato a decollare. Dall’altro non si capisce perché invece per i Pir, anche a seguito delle modifiche del Dl 50/17, si faccia riferimento agli strumenti finanziari (comma 102), rendendo così l’investimento non circoscritto al solo equity ma ampliandolo anche al debito, dando al comparto retail una possibilità che, invece, non sussiste per gli istituzionali. In fase di conversione del Dl 50/17 sarebbe quanto mai opportuno un ripensamento in tal senso, equiparando equity a debito anche per gli investimenti delle casse e dei fondi pensione.

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