Controlli e liti

Doppio binario per i Paesi black list nella disciplina tributaria italiana

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di Roberto Bianchi

La disciplina tributaria nazionale non risulta essere in sintonia con le dinamiche degli accordi tributari raggiunti dall’Italia con i Paesi considerati “ex paradisiaci”. Alcune delle nazioni divenute “collaborative”, in conseguenza della sottoscrizione di accordi a livello internazionale, risultano ancora inserite nelle “liste nere” domestiche e da ciò scaturisce l’applicazione di determinate e peculiari penalizzazioni in ambito tributario.
Negli ultimi tre anni il nostro Paese ha definito molteplici accordi per lo scambio di informazioni ai fini fiscali, in applicazione dell’articolo 26 del Modello di Convenzione avverso le doppie imposizioni Ocse, che si vanno ad aggiungere alle recenti intese raggiunte con Paesi in precedenza ritenuti “paradisiaci” (Svizzera, Principato di Monaco, Hong Kong, Liechtenstein e Panama). L’impulso alla definizione delle recenti intese scaturisce dall’alterato contesto internazionale, che necessita di adeguati mezzi di antinomia alle azioni tributarie illecite, resi efficaci attraverso la cooperazione “tributaria” tra i differenti Paesi. In tale ambito l’Italia ha aderito alla Convenzione Ocse - Consiglio d’Europa afferente al reciproco soccorso amministrativo in ambito fiscale, attraverso la legge n. 19 del 10 febbraio 2005.
Da due anni sono inoltre in vigore gli accordi internazionali sullo scambio automatico obbligatorio delle informazioni tributarie, conseguenti all’introduzione del Common Reporting Standard. Le intese Crs sono state recepite attraverso il Dm 28/12/2015, in esecuzione della legge n. 95/2015, in seguito all’estensione delle nazioni collaborative interessate dallo scambio automatico.
Tuttavia la disciplina tributaria interna che identifica i Paesi “paradisiaci”, non risulta essere allineata alle dinamiche degli accordi convenzionali. Infatti alcune nazioni, pur risultando “collaborative” per ciò che concerne lo scambio di informazioni, sono tuttavia presenti nelle “black list” interne.
Pertanto gli Stati che, pur apparendo “collaborativi” in ambito convenzionale e rientrando di conseguenza nella white list ex Dm 04/09/1996, risultano al tempo stesso inseriti nelle vigenti black list interne, potrebbero risultare danneggiati in ambito tributario. Infatti non è per nulla semplice riuscire a comprendere quale disciplina debba trovare applicazione in fase di accertamento fiscale o di ricorso all’istituto del ravvedimento operoso volto a normalizzare eventuali violazioni correlate alla disponibilità di beni posseduti in una Nazione al tempo stesso collaborativa a livello convenzionale e black list per la normativa interna. Il medesimo problema lo si incontra in fase di individuazione dei termini di decadenza dell’attività accertativa e della misura delle sanzioni amministrative applicabili.
Risulta pertanto indifferibile, il recepimento di peculiari correttivi finalizzati a dipanare l’attuale garbuglio normativo generatosi in conseguenza alla staticità delle liste nazionali e a evitare il generarsi di ingiustificate disparità di trattamento tra “species” di contribuenti equivalenti. In tale ambito la Commissione Europea ha intrapreso una serie di attività finalizzate a circoscrivere le giurisdizioni tributarie non collaborative, con l’obiettivo di supportare gli Stati appartenenti all’Unione nella lotta all’evasione. Inoltre, per ciò che concerne l’ambito domestico, l’espediente risolutivo potrebbe essere quello di affidarsi a un’univoca white list in ambito tributario, da adeguare ciclicamente in funzione degli sviluppi nella sottoscrizione degli accordi internazionali afferenti la collaborazione volontaria finalizzata alla reciprocità nello scambio delle informazioni. Potrebbe risultare sufficiente allineare la vigente white list, contenuta nel Dm 04/09/1996 e nel Dm 28/12/ 2015 per lo scambio di informazioni automatico e obbligatorio in ambito fiscale. I “tax havens” risulterebbero individuabili per “differenza” oltre al fatto che, per “limitare” i paesi considerati maggiormente a rischio, si potrebbe dare l’abbrivio a iniziative assimilabili a quelle già in essere presso la Commissione Europea. Il tutto finalizzato a dipanare i dubbi sull’applicabilità delle penalizzanti previsioni tributarie interne, correlata al posizionamento della nazione rispetto alle black list domestiche.

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