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Ecco la strada migliore per trovare regole certe per il reddito d’impresa

di Maurizio Leo

Sul reddito d’impresa, la legge delega per la riforma fiscale, si muove su tre direttrici: maggior certezza delle regole, più elevato allineamento tra risultati civilistici e fiscali, potenziamento dell’adempimento collaborativo.

Apparentemente, si tratta di obiettivi distinti. In realtà, in una moderna visione di un fisco che aspiri concretamente – e non solo nei proclami – alla collaborazione con i contribuenti, tali obiettivi si intersecano e completano vicendevolmente, con un effetto moltiplicativo, più che additivo.

Fatto sta che è dalle imprese che – a mio avviso – occorre partire per l’auspicata modernizzazione dei rapporti fiscali, non foss’altro che per la circostanza che le regole contabili possono soccorrere nella faticosa ricerca della semplificazione e della certezza delle condotte tributarie.

Una convinzione, questa, maturata riflettendo sull’esperienza del lungo cammino che ha condotto alla “derivazione rafforzata”, dapprima riservata ai soggetti Ias e poi progressivamente estesa anche a quelli Oic; un cammino tortuoso, che non può dirsi completato, tant’è che la stessa riforma si propone di percorrerlo ulteriormente, eliminando residue ingiustificabili forme di disallineamento.

Un po’ di storia credo possa aiutare a comprendere il ragionamento.

Dopo la “doccia gelata” del 2005, con l’ingresso “a freddo” dei principi internazionali Ias-Ifrs, gravido di non poche complicazioni applicative, l’ordinamento fiscale ha dovuto – con la Finanziaria 2008 – riconoscere il rilievo dei criteri contabili internazionali di classificazione, qualificazione e imputazione temporale anche nella determinazione della base imponibile Ires (la “derivazione rafforzata”, per l’appunto), seppur con qualche temperamento. Fatto sta che, in tal modo, l’impiego degli standard contabili internazionali, travalicando i confini originari della rappresentazione bilancista (ove si giustificano con esigenze di confrontabilità cross-border), ha assunto rilievo anche ai fini fiscali, con una parziale delega di sovranità a favore di un decisore (lo standard setter internazionale) estraneo al circuito della rappresentatività e della legittimazione democratica. Circostanza delicata in un ambito – quale quello tributario – che la nostra Costituzione riserva al legislatore nazionale.

Ecco allora che la riforma potrebbe essere l’occasione per superare talune di queste distorsioni, in un contesto che non rinunci alla derivazione rafforzata e anzi la valorizzi, ponendola al servizio della auspicata certezza delle regole e del potenziamento dei rapporti orizzontali tra Amministrazione pubblica e imprese. E così, al passo con il percorso già avviato di progressivo avvicinamento tra principi nazionali e internazionali (in particolare, a seguito del Dlgs 139/2015), non è forse il tempo di completare il processo e superare l’attuale dicotomia tra soggetti Ias-Ifrs e imprese Oic? Tanto più se si considera l’impatto sulle basi imponibili domestiche, è evidente come le imprese, tutte, andrebbero assoggettate a una comune impostazione contabile nazionale, seppure allineata alla prassi internazionale e temperata in funzione delle dimensioni aziendali.

A ciò dovrebbe agganciarsi – a mio avviso – un’ulteriore auspicabile evoluzione, con il coinvolgimento dello standard setter italiano e possibili positivi riflessi fiscali.

Mi riferisco all’opportunità di affidare all’Oic il compito di indicare, nell’ambito di una comune cornice e impostazione contabile, schemi informativi diversificati su basi settoriali. Ciò non solo assicurerebbe una miglior confrontabilità dei risultati, ma – per venire all’ambito tributario – darebbe altresì una rinnovata e più solida legittimazione alla derivazione, da rendere ancor più “rafforzata” (direi, “iper-rafforzata”), oltre ad assicurare un rilevante ausilio alla progressiva estensione del regime di adempimento collaborativo.

Provo a spiegare meglio il punto. È noto che uno degli obiettivi principali, indicati nella delega, è quello di estendere il più rapidamente possibile la cooperative compliance, potenzialmente anche alle imprese di medie dimensioni. Un obiettivo ambizioso – si dirà – eppure nihil difficile volenti: si tratta di contrastare i possibili ostacoli al suo raggiungimento.

Il primo, di ordine istituzionale, attiene alla capacità dell’Amministrazione di gestire un simile cambiamento su larga scala, che implica, in linea con le indicazioni Ocse, un radicale mutamento d’approccio, da una logica di controllo verticale successivo a una di dialogo orizzontale preventivo, più in linea con una visione moderna del rapporto tributario. Un mutamento, questo, che impone un’evoluzione culturale di ambo i lati di tale rapporto, ma anche un potenziamento della macchina pubblica (a cui si è già iniziato a lavorare nell’ultima legge di bilancio), la possibile riconversione di un pezzo delle sue risorse e la messa a fattor comune di energie e conoscenze diffuse nell’ambito della Pa.

Il secondo possibile ostacolo attiene invece alla sfera privata ed è legato ai costi d’accesso alla cooperative compliance, in particolare quelli di attivazione di un adeguato sistema di monitoraggio e controllo dei rischi fiscali (tax control framework), potenzialmente proibitivi per realtà imprenditoriali di medie dimensioni. Ed è su questo punto che l’auspicata diversificazione per settore delle attività di reporting potrebbe fornire ausilio. Si tratta di acquisire e sfruttare un patrimonio informativo industry-based e assicurare, grazie agli strumenti e al contributo del braccio operativo dell’Amministrazione digitale (Sogei e Sose), la costruzione di modelli generali di tax control framework opportunamente diversificati su base settoriale. Nessuna volontà di imporre alle imprese nuovi e più onerosi oneri informativi, ma solo l’obiettivo di aiutarle a crescere in modo sostenibile, mettendo loro a disposizione strumenti per costruire un più solido modello di gestione dei propri rischi e spingendole ad attivare un rapporto più diretto e proficuo con l’Amministrazione finanziaria.

Insomma, è tempo di trovare nuove forme di collaborazione e condivisione delle energie migliori, nell’ambito dell’Amministrazione pubblica, e poi nei rapporti tra questa e i contribuenti. Su questo cambio di paradigma deve basarsi una riforma, che non si limiti a migliorare l’esistente, bensì aspiri a gettare le fondamenta di un nuovo modello e a creare le premesse di una crescita economica realmente sostenibile.