Imposte

Extraprofitti, sanzioni del 60% per chi non paga entro il 31 agosto

Tra incassi da recuperare e sanzione raddoppiata gettito potenziale da 5 miliardi

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Due conti: nella prima rata del 30 giugno sono mancati 3,1-3,2 miliardi dei 4,2 attesi dal contributo straordinario sugli extraprofitti delle aziende energetiche. Se la nuova norma per recuperarli, inserita nel decreto Aiuti-bis (articolo 42 del Dl 115/2022) funzionasse, in autunno il ministero dell’Economia potrebbe registrare entrate vicine ai 5 miliardi di euro. Sufficienti per un nuovo giro di aiuti, con cui magari inaugurare l’attività del nuovo governo che uscirà dalle elezioni del 25 settembre. Ma la strada è in salita.

A dimostrarlo è anche l’entità della sanzione pensata per convincere l’ampia maggioranza delle società dell’energia che si sono dimostrate riottose al pagamento. La nuova regola lascia solo qualche settimana agostana per rimettersi in riga con le sanzioni ordinarie del ravvedimento operoso, che per chi paga entro fine mese sarebbe pari al 15% del contributo straordinario dovuto ma non pagato entro il 30 giugno. Dopo il 31 agosto, invece, la sanzione ordinaria fin qui dimezzata raddoppia, arrivando al 60 per cento: al netto di possibili regolarizzazioni indotte da questo rischio, quindi, ci sarebbe un gettito potenziale aggiuntivo intorno agli 1,9 miliardi sui 3,1-3,2 non versati alla cassa a fine giugno. Per il saldo, la super-sanzione scatterà dopo il 15 dicembre.

L’esperienza insegna però che il passaggio dai calcoli sul gettito potenziale agli incassi dei pagamenti reali è tortuosa. A motivare la diserzione di massa, «intollerabile elusione di una disposizione del governo» secondo la definizione secca del presidente del consiglio, sono i dubbi di legittimità sul criterio di calcolo del contributo straordinario; perché il saldo Iva assunto come base imponibile non è misura puntuale dei profitti, e tantomeno della quota realizzata grazie ai rincari dei prezzi, e perché il confronto con un inverno 2020-21 falcidiato dai lockdown territoriali anti-Covid nelle regioni a colori gonfia il parametro con una dinamica che c’entra poco con l’inflazione. Su questi presupposti, in molti casi l’ostilità al contributo straordinario si è sposata con la convinzione di poter arrivare a una dichiarazione di incostituzionalità della norma, spingendo molti a n0n pagare. Senza contare che anche chi ha deciso di versare ha poi in qualche caso preparato subito le carte bollate per chiedere il rimborso.

Per provare a rompere questo muro il governo, a partire da Palazzo Chigi dove per combattere un’emergenza sociale che non concede tempi lunghi alle contromisure è stata concepita l’idea di colpire subito gli extraprofitti senza aspettare che si manifestassero nella loro sede naturale con l’Ires del prossimo anno, ha deciso di agire con durezza, con una strategia articolata in tre mosse: una ventina di giorni in pieno agosto con le ordinarie sanzioni dimezzate al 15%, multa che si impenna al 60% dopo il 31 agosto e Guardia di Finanza in campo con l’agenzia delle Entrate per colpire in modo diretto, liquidazioni Iva e fatture elettroniche alla mano, chi decidesse di resistere comunque.

Tutto questo impianto è ovviamente costruito in deroga esplicita all’articolo 3 dello Statuto del contribuente, che specifica in ambito tributario il principio generale fissato dall’articolo 11 delle preleggi in base al quale «la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo». Certo, a dispetto del nome solenne lo Statuto è la norma più derogata nella pur caotica storia tributaria italiana. Ma qui l’effetto retroattivo non viene esercitato sulle solite questioni procedurali o di scadenze, ma va a moltiplicare una sanzione per una violazione già commessa. E lo fa, per di più, su un contributo straordinario su cui molte società si sono mostrate disposte alle battaglie tramite avvocati; accanto alle speranze di un’impennata del gettito, quindi, non sono infondati i timori di un aumento altrettanto drastico dei contenziosi.

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