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Fallimenti, spettro d’azione ampio per il pm

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di Alessandro Galimberti

Raggio amplissimo all’azione del pubblico ministero in materia di fallimenti. L’organo dell’accusa nel procedimento penale può esercitare la sua peculiare «iniziativa» - di chiedere appunto al tribunale la dichiarazione di fallimento - utilizzando una notitia decoctionis da qualunque procedimento provenga. In sostanza, argomenta la Prima sezione civile della Cassazione nella sentenza 2228/17, depositata ieri, il pubblico ministero non è vincolato, in questo ambito “fallimentare”, al perimetro dell’indagine di sua stretta competenza.

Il caso portato davanti alla Prima riguardava un fascicolo preliminare aperto presso la Procura del tribunale di Milano, dentro il quale il pubblico ministero aveva tratto gli elementi per chiedere un intervento della sezione fallimentare. Una situazione a prima vista del tutto fisiologica , regolata dall’articolo 7 della legge fallimentare (Rd 267/1942) secondo cui il pubblico ministero può “sostituirsi” ai creditori, tra le altre ipotesi, «quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale».

La particolarità della vicenda milanese stava però nel fatto che gli elementi indice di insolvenza raccolti dall’accusa erano relativi a una società diversa da quelle per cui l’ufficio stava indagando. Il Pm aveva presentato l’istanza prevista dall’articolo 7 al tribunale civile, ottenendo la dichiarazione di apertura della procedura concorsuale che però, impugnata, era stata poi revocata dalla Corte d’appello distrettuale.

Nel ricorso di legittimità la Procura generale sottolineava la «eccentricità» della revoca del fallimento vincolata alla condicio sine qua non della pendenza di un procedimento penale sulla medesima persona e sui medesimi fatti (poiché «il procedimento penale può risultare aperto anche contro ignoti», scrive il ricorrente, e ciò, in questa prospettiva, renderebbe impossibile la declaratoria di fallimento «anche dinanzi a uno stato di insolvenza conclamato»). Inoltre, la Procura generale argomentava che, se è vero che nessun procedimento era stato aperto nei confronti della società per cui si chiedeva il fallimento, ciò dipendeva dalla impossibilità tecnica di imputare l’impresa al di fuori del perimetro del dlgs 231/01, e che comunque a quell’altezza di tempo risultava già iscritto sul registro dell’azione penale - pur per un altro versante d’indagine - il legale rappresentante della società di cui veniva chiesta l’apertura fallimentare.

La Prima penale della Cassazione ha raccolto tutti gli argomenti del ricorso, sottolineando che il profilo della «modalità con cui è stata appresa la notitia decoctionis non ha alcuna incidenza sulla legittimazione del pubblico ministero» a percorrere la strada dell’articolo 7 della legge fallimentare, e anzi la sua legittimazione opera anche se la notitia emerga «nel corso di indagini nei confronti di soggetti diversi dall’imprenditore medesimo».

L’unico limite al potere di iniziativa del Pm, scrive il relatore, «è che la notitia decoctionis sia stata appresa nel corso di indagini comunque legittimamente svolte, finanche nei confronti di soggetti diversi o collegati all’imprenditore medesimo, e a prescindere dai tempi di approfondimento investigativo direttamente incidenti sulla società insolvente».

La sentenza n. 2228/2017 della Cassazione

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