Fallimento, l’Ici è dovuta dopo l’alienazione dell’immobile
Il fallimento paga l’Ici solo dopo la vendita del singolo immobile per il quale è dovuta l’imposta. Infatti, l’avvio della procedura concorsuale determina una sospensione dell’obbligo tributario, ma entro tre mesi dalla cessione del bene la curatela è tenuta a versare l’importo in precedenza non pagato. Lo ricorda la Ctp Milano (presidente Mainini, relatore Chiametti) nella sentenza 4032/7/2018 dello scorso 27 settembre.
La pronuncia trae origine dall’impugnazione di una cartella di pagamento relativa a Ici, richiesta per l'anno 2008 per alcuni immobili di proprietà di una Srl precedentemente dichiarata fallita. Secondo la curatela ricorrente, i beni non erano stati ancora ceduti, sicché - in base a quanto previsto dall’articolo 10, comma 6, Dlgs 504/1992 - l’ente locale non poteva chiedere il pagamento dell’imposta. Dal canto suo, il Comune resistente ha dedotto che la vendita anche di un solo immobile obbligava il fallimento al pagamento delle imposte dovute per tutti i beni posseduti.
Nel decidere la controversia, la Ctp afferma che per i cespiti di proprietà del fallimento «l’obbligo di pagamento dell'Ici sorge nel momento dell'alienazione».
Infatti, il comma 6 dell’articolo 10 del Dlgs 504/1992 dispone che, entro tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili, il curatore fallimentare è tenuto «al versamento dell'imposta dovuta per il periodo di durata dell’intera procedura concorsuale». Ciò significa che la dichiarazione di fallimento comporta «una sospensione dell’obbligazione tributaria», e dunque che il Comune non può chiedere il pagamento del tributo prima della vendita del bene.
Questa disciplina (che di fatto determina «un maxi periodo d’imposta») si giustifica perché, fino a quando non viene realizzato un incasso derivante dalla vendita del cespite, «sarebbe del tutto ingiustificato e illogico» pretendere il pagamento di una somma da prelevare eventualmente dal ricavato della vendita di altri beni o da porre, in via preventiva, a carico «di qualche soggetto che opera all'interno del fallimento».
Sul punto, la Ctp - richiamando la sentenza 20575/2005 della Corte suprema - precisa che l'immobile che ricade nella procedura non è un bene escluso dall'imposta o sottoposto, quanto alla determinazione della base imponibile, a un regime speciale; è piuttosto un cespite per il quale l'obbligo del pagamento del tributo sorge dopo la vendita, giacché solo «in quel momento viene a esistenza la somma che serve per fare fronte all'imposta». Ma a quel punto il pagamento riguarda, ovviamente, anche «le annualità pregresse», quelle, cioè, per le quali non era stato versato alcuna somma dopo la dichiarazione di fallimento.
E «non importa - chiarisce la Commissione - che la curatela abbia disponibilità liquide», eventualmente derivanti dall'alienazione di altri beni: infatti, «ogni immobile paga il proprio debito Ici», ed è solo dalla singola vendita «che scatta per il curatore» l’obbligo di pagare l’Ici dovuta per il bene ceduto.
Così la Ctp ha accolto la domanda della curatela fallimentare, che chiedeva l’annullamento della cartella.
La sentenza n.4032/7/18 della Ctp Milano