False fatture per vendite all’estero, reato solo con l’evasione verso il Fisco italiano
Nel caso di emissione di fatture false, relative alla vendita di beni all’estero, per ipotizzarsi l’illecito penale occorre dimostrare che l’utilizzo dei documenti abbia consentito in qualche modo ai soggetti esteri di evadere somme nei confronti del fisco italiano. A precisarlo è la sentenza penale 41282/2018 della Cassazione depositata ieri.
Nei confronti del rappresentante legale di una Srl era ipotizzata la commissione dei delitti di dichiarazione infedele ed emissione di fatture false. In particolare alla società era contestata la simulazione soggettiva di vendite intracomunitarie di beni ad alcune imprese inglesi e slovacche e la conseguente infedele dichiarazione, verosimilmente (da quanto è possibile dedurre dal testo della sentenza) dell’Iva derivante dalla vendita dei medesimi beni in regime di imponibilità
Il Pm richiedeva e otteneva dal Gip il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto tratto dalla consumazione dei citati reati. Il decreto di sequestro era impugnato innanzi al tribunale del riesame che lo confermava.
La società ricorreva allora per cassazione lamentando in estrema sintesi che il provvedimento cautelare si limitava a ribadire quanto evidenziato dal Pm senza considerare in merito alla asserita simulazione soggettiva delle vendite intracomunitarie la documentazione prodotta dalla società in sede di accertamento tributario per comprovare l’effettività delle cessioni.
Inoltre la società italiana non avrebbe mai incamerato le somme oggetto di recupero a titolo di evasione Iva con la conseguenza che non avrebbe conseguito alcun profitto confiscabile
Infine non si comprendeva, secondo la difesa, quale soggetto si sarebbe potuto avvalere delle fatture emesse dalla società italiana al fine d evadere l’Iva nei confronti dello Stato italiano, e per quale ragione veniva contestata la dichiarazione infedele posto che gli elementi attivi in questione (la cui omissione è determinante per la configurazione della fattispecie contestata) erano stati indicati nella dichiarazione.
Verosimilmente ma la circostanza non è agevolmente desumibile dal testo della pronuncia, la società aveva dichiarato le vendite intracomunitarie (in regime di non imponibilità) e quindi gli elementi attivi, ma secondo l’accusa tali vendite dovevano considerarsi imponibili stante l’asserita fittizietà dell’acquirente estero.
Da qui con ogni probabilità l’ipotesi di dichiarazione infedele (indicazione di operazioni non imponibili in realtà imponibili Iva).
La Suprema Corte ha accolto il ricorso. I giudici di legittimità hanno rilevato che l’ordinanza del Tribunale del riesame non accennava minimamente alla sussistenza dei requisiti per la configurabilità dei due delitti ipotizzati e di conseguenza al relativo profitto oggetto della misura cautelare. Inoltre non era chiaro perché l’emissione di false fatture avrebbe consentito a terzi - cioè a soggetti differenti dalla società ricorrente emittente – di evadere nei confronti del fisco italiano le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, né se si trattasse di tali soggetti. Peraltro nell’ipotesi in cui si fosse trattato di società estere non era chiaro come si poteva conseguire il fine di evadere le imposte. In ogni caso la Cassazione ricorda che in tema di emissione di fatture false il profitto confiscabile in capo all’emittente non può essere quantificato nell’asserita imposta evasa dell’utilizzatore dei documenti fiscali stante la previsione normativa di esclusione del concorso per entrambe le fattispecie illecite.