L'esperto rispondeImposte

Fiscalmente il campionario è prima merce in rimanenza poi costo d’esercizio

immagine non disponibile

di Cristina Odorizzi

La domanda

Un’azienda orafa sopporta tutti gli anni costi per la realizzazione del campionario che viene assegnato agli agenti i quali provvedono a recarsi presso i clienti per raccogliere ordini di produzione, ma non lavorano in tentata vendita. Parte del campionario riguarda la produzione di articoli che faranno parte dell’archivio storico e che quindi verranno proposti per molti anni, mentre parte del campionario è formato da prodotti che verranno proposti per brevi periodi legati alla moda o stagionalità. I costi sostenuti per realizzare i campionari che rappresenteranno l’archivio storico, e che quindi non sono destinati alla vendita, si possono capitalizzare ed ammortizzarli per non incidere sul costo del venduto, o è necessario portarli comunque a costo nell’esecizio di competenza economica?
A.G. – Arezzo

Dal punto di vista civilistico, si precisa che il decreto legislativo 139/2015 ha eliminato il riferimento ai costi di pubblicità dalla voce dello stato patrimoniale BI2. La relazione di accompagnamento precisa che il decreto elimina il richiamo ai costi di ricerca e pubblicità contenuto nel n. 3) dell’articolo 2427 del Codice civile, trattandosi di costi non più capitalizzabili. La modifica legislativa alla voce BI2 esclude la possibilità di una generica capitalizzazione dei costi di pubblicità, ma consente quella relativa ai costi di impianto e ampliamento. Nella previgente versione, il principio contabile n. 24 relativo alle immobilizzazioni immateriali si occupava anche dei costi sostenuti per materiali aventi finalità promozionali (per esempio, cataloghi, espositori, dépliant, volantini, gadget pubblicitari, eccetera) stabilendo che tali costi devono essere imputati al conto economico nel periodo durante il quale i materiali vengono distribuiti, o lungo il periodo in cui si attendono benefici economici dalla loro distribuzione. Il primo criterio di imputazione era ritenuto generalmente preferibile laddove il materiale promozionale abbia una vita relativamente breve (per esempio, nel caso di un dépliant che annunci una svendita). Il secondo criterio era ritenuto utilizzabile quando l’utilità (vita attesa) del materiale promozionale è relativamente lunga (per esempio, un catalogo di prodotti commercializzati dall'azienda). Il principio contabile raccomandava, in caso di scelta del secondo criterio, di usare il metodo a quote costanti, a meno che il materiale promozionale abbia un evidente e rilevante effetto sulle vendite del periodo immediatamente successivo alla sua distribuzione. In quest’ultimo caso è preferibile un metodo più accelerato di ammortamento, per esempio, a quote decrescenti.
Dal punto di vista fiscale, il campionario, essendo costituito comunque da prodotti dell’azienda, è stato considerato alla stregua di merce in rimanenza dalla risoluzione 18 maggio 1976, n. 9, in quanto assimilabile a beni-merce fino al momento in cui la merce stessa risulta deteriorata e inservibile all’uso. In quel momento, il costo diviene costo di pubblicità interamente deducibile. Pertanto, le spese di lavorazione sostenute nell’anno e relative alla realizzazione del campionario per l’anno successivo vanno sospese, in quanto voce di costo che concorre alle rimanenze finali. Nel successivo esercizio, quella stessa voce concorre a costo come rimanenza iniziale. Alla fine di quest’ultimo periodo (stagione 2012-2013) il campionario non comparirà fra le rimanenze se smaltito o se, comunque, inservibile per la vendita. In questo modo, come variazione negativa di magazzino diventa costo dell’esercizio.
Si ritiene quindi che nel caso descritto dal lettore (campionario che viene predisposto tutti gli anni) il trattamento corretto sia quello di imputazione a costo d’esercizio gestendo i prodotti del campionario come rimanenza fino ad esaurimento come indicato dalla risoluzione 9/1976.

Invia un quesito all’Esperto risponde

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©