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FISCO E AGRICOLTURA/Raccolta prodotti selvatici, sì al forfettario ma resta il reddito agrario

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di Gian Paolo Tosoni


Le imprese agricole che gestiscono la produzione dei prodotti selvatici non legnosi e che realizzano un ammontare di ricavi non superiore a 65mila euro, possono applicare il regime forfettario, ma tuttavia ai fini delle imposte dirette rientrano nel reddito agrario. Lo conferma la circolare dell’agenzia delle Entrate n. 8/E del 10 aprile 2019 ( clicca qui per consultarla ). L’inquadramento nel regime forfetario è certamente anomalo trattandosi di attività agricola e lo prevede la legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 699, legge 145/2018). La norma non riserva espressamente tale inquadramento alle sole persone fisiche, ma così dovrebbe essere in base alla normativa sul regime forfetario (legge 190/2014). Va detto che di fatto l’unica semplificazione per questi soggetti è l’esclusione da Iva. Ma non è semplice individuare concretamente quali possono essere questi produttori agricoli che gestiscono la produzione di prodotti selvatici, non ricompresi nella classe Ateco 02.30 . I prodotti selvatici non legnosi elencati nella circolare sono: funghi, tartufi, bacche, frutta in guscio, balata e altre gomme simili al caucciù, sughero, gommalacca e resine, balsami, crine vegetale, crine marino, ghiande, frutti dell’ippocastano, muschi e licheni e le piante officinali spontanee.
Siccome la classe Ateco 2.30 prevede la raccolta dei predetti prodotti ed il regime forfetario si applica per quelli non ricompresi nella tabella 02.30, si dovrebbe concludere che il forfait riguardi i prodotti non semplicemente raccolti e quindi occorre che il produttore agricolo li abbia i qualche modo coltivati.

I tartufi
La circolare 8/E/2019 dedica ampio spazio al nuovo regime fiscale dei raccoglitori di tartufi. Viene in primo luogo privilegiato il “raccoglitore occasionale” di tartufi non supera il limite annuo di vendite superiore a 7mila euro. Questi contribuenti vengono anche classificati nell’articolo 34-ter del Dpr 633/72 per stabilire il regime di esonero dagli adempimenti Iva.

Essi sono tenuti a versare una imposta sostitutiva di 100 euro, entro il 16 febbraio di ogni anno (codice tributo 1853), qualora siano in possesso del titolo di raccolta. I soggetti che hanno versato l’imposta sostitutiva di 100 euro non devono subire la ritenuta all’articolo 25-quater del Dpr 600/1973 che è pari al 23% commisurata sul 78% dei corrispettivi riscossi. La ritenuta continuerà ad essere applicata ai raccoglitori occasionali di tartufi ma con ricavi di ammontare superiore a 7mila euro.

Le aliquote Iva
La legge di bilancio ha inoltre modificato le aliquote Iva in materia di cessione di tartufi. I tartufi freschi o refrigerati sono stati inseriti nella tabella A parte 2-bis e quindi si applica la aliquota ridotta del 5%. Altra modifica riguarda l’inserimento nella tabella A parte 3, dei tartufi congelati, essiccati o preservati immersi in acqua salata, solforata o addizionata di altre sostanza atte ad assicurare temporaneamente la conservazione, ma non preparati per il consumo immediato; quindi questo prodotto sconta l’Iva del 10 per cento.
Queste nuove aliquote decorrono dal 1 gennaio 2019. Inoltre la norma introduce nella tabella A, parte 1, che contempla i prodotti agricoli, al punto 15-bis i tartufi nei limiti di quantità standard di produzione determinate con decreto ministeriale. Quindi questa disposizione non è ancora vigente; il Ministero dovrà anche stabilire la percentuale di compensazione da applicare alle cessioni di tartufi per determinare l’Iva detraibile.

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