FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: registro, Ici, Tarsu e usufrutto
Procura valida anche se non “spillata” all’atto di controdeduzioni tanto più adesso con il processo telematico. Registro proporzionale anche per l’assegnazione delle somme già oggetto di decreto ingiuntivo. Per la firma a mezzo stampa dell’accertamento Tarsu occorre il provvedimento dirigenziale doc ed ad hoc. Stop al ricorso per Cassazione ma solo reclamo contro il decreto con cui la Ctr estingue il giudizio per mancata riassunzione della causa. Agevolazione retroattiva dell’Ici sul fabbricato rurale solo con variazione catastale entro il 30 novembre 2012. La rinuncia al diritto di usufrutto dell’immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” non è cessione di immobile per il registro. La parte vittoriosa deve proporre appello incidentale sulle censure rigettate anziché limitarsi alla loro mera riproposizione. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.
Procura valida anche se non materialmente spillata all’atto di controdeduzioni
È ammissibile l’atto di controdeduzioni del Concessionario della Riscossione anche se la procura, rilasciata al difensore dell’Ente, è apposta su un foglio separato dall’atto difensivo e riporta una data anteriore rispetto a quella in esso indicata. Questo perché l’articolo 83 del Codice processuale civile non impone comunque la cosiddetta “spillatura” della procura allo scritto difensivo, da intendersi come vera e propria “cucitura meccanica”. Basta, infatti, che vi siano quegli elementi idonei affinché vi sia ragionevole certezza dell’atto, vale a dire:
1) La procura sia stata rilasciato al difensore nominato da soggetto munito di potere di rappresentanza;
2) La procura si riferisca al grado di giudizio per cui è stata rilasciata. Tanto più che la costituzione in giudizio è da considerarsi non viziata grazie all’avvento del processo telematico, ove in tale procedura è impossibile la materiale congiunzione tra atto difensivo e procura.
Nel caso di specie, una Srl, in liquidazione, impugna la comunicazione di iscrizione ipotecaria ricevuta nel marzo 2013 e fondata sul mancato pagamento di iscrizioni a ruolo per oltre 542mila euro. La contribuente risulta soccombente nel primo grado di giudizio e ricorre in appello. Resiste il Concessionario della Riscossione, il quale nomina difensore, tramite procura rilasciata il 31 gennaio 2018, e si costituisce telematicamente con atto di controdeduzioni datato 2 febbraio 2018. La contribuente contesta la validità della costituzione in giudizio. La procura è irregolare siccome rilasciata su foglio separato dall’atto di controdeduzioni e avente data diversa.
• Ctr Lombardia sentenza n. 887/21/18
Registro proporzionale anche per l’assegnazione delle somme pignorate
L’ordinanza emessa dal tribunale civile, attraverso cui vengono assegnate le somme pignorate, sconta l’imposta di registro in misura proporzionale sul “quantum” attribuito al creditore. E non rileva la circostanza che tale atto sia fondato su decreto ingiuntivo già sottoposto ad imposta di registro. Questo perché l’imposta di registro è imposta d’atto e si calcola anche sull’ordinanza che è atto diverso ed autonomo rispetto al decreto ingiuntivo. Quindi è infondata la tesi del contribuente, secondo cui l’ordinanza di assegnazione sconta l’imposta di registro in misura fissa perché con tale atto il giudice dell’esecuzione si limita di fatto ad assegnare somme il cui presupposto è decreto ingiuntivo divenuto esecutivo, e su cui era già stata pagata imposta di registro. Per contro, è fondata la tesi dell’Amministrazione secondo la quale si applica l’articolo 8, comma 1, lettera a), della Tariffa allegata al Dpr 131 del 1986. Invero, l’ordinanza di assegnazione di somme pignorate, ai sensi dell’articolo 553 del Codice processuale civile, sconta l’imposta in misura proporzionale dello 0,5%, perché si tratta di un provvedimento distinto e autonomo rispetto al titolo esecutivo, rappresentato dal decreto ingiuntivo, e dal quale scaturisce. Tale tipologia di atto, infatti, non mira solo a realizzare la pretesa creditoria, ma anche a trasferire le somme e/o il bene in favore del creditore.
Nel caso in esame, due contribuenti intraprendono una procedura giudiziale per ottenere le somme vantate nei confronti di un terzo, ed ottengono un decreto ingiuntivo divenuto poi esecutivo. In seguito, al fine di soddisfare il loro credito, il Tribunale emette ordinanza di assegnazione delle somme nel 2015. L’Amministrazione ricupera, tramite avviso di liquidazione notificato nel maggio 2017, la maggiore imposta di registro ritenuta dovuta in misura proporzionale dello 0,5% sulle somme pignorate per oltre mille e 500 euro, oltre sanzioni e interessi. I contribuenti si oppongono, perché ritengono dovuta in misura fissa l’imposta pretesa siccome basata su decreto ingiuntivo definitivo sul quale è già stata pagata la relativa imposta.
• Ctp Cremona, sentenza 4/2/18
Quando è legittima la firma a mezzo stampa dell’accertamento Tarsu
L’accertamento Tarsu “standardizzato” è legittimo anche se reca la cosiddetta «sottoscrizione a mezzo stampa» anziché autografa, a condizione che siano rispettati i dettami normativi, pena l’invalidità dell’atto per difetto di sottoscrizione. Ai sensi dell’articolo 1, comma 87, della Legge 549 del 1995, l’atto impositivo dell’ente locale può essere considerato valido se reca la sottoscrizione a mezzo stampa del responsabile del procedimento purché, congiuntamente, siano rispettate le seguenti condizioni:
a) l’atto è prodotto da sistemi informativi automatizzati;
2) il dirigente, responsabile dell’ufficio, abbia adottato un apposito provvedimento di nomina del funzionario autorizzato ad apporre la firma a mezzo stampa, nonché la fonte dei dati utilizzati per l’emanazione degli avvisi.
Pertanto, qualora il contribuente abbia eccepito il difetto di sottoscrizione, va dichiarato nullo l’accertamento Tarsu firmato a mezzo stampa se l’atto non richiama il provvedimento di nomina dirigenziale attraverso cui è stato designato il responsabile del procedimento, ovvero per assenza delll’indicazione del prodromico atto dirigenziale.
Nel caso in esame, il Concessionario incaricato dall’Ente locale notifica ad un contribuente due avvisi di accertamento relativi alla Tarsu dal 2009 al 2013 per omessa dichiarazione relativa a due immobili per oltre 900 euro. L’uomo si oppone innanzi la Ctp ed eccepisce la nullità dell’atto firmato a mezzo stampa dal funzionario, per assenza di firma autografa del responsabile d’ufficio data assenza del provvedimento di nomina attraverso il quale il questi avrebbe dovuto nominare il funzionario.
• Ctr Lazio, sentenza n. 2585/16/18
Reclamo contro il decreto che estingue il giudizio per mancata riassunzione
La mancata riassunzione della causa tributaria, a seguito di rinvio operato dalla Corte di Cassazione, determina l’estinzione del processo, e quindi la definitività dell’atto originariamente impugnato. E nel caso in cui la parte dichiari di non aver ricevuto notizia del provvedimento di rinvio, deve proporre reclamo avverso decreto emanato dal Presidente della Ctr che ha disposto l’estinzione del giudizio, e non ricorso in Cassazione, perché in tal caso lo stesso risulterebbe essere inammissibile. Pertanto è legittima l’iscrizione a ruolo notificata tramite cartella attraverso cui l’Amministrazione esplica la sua pretesa impositiva fondata su avviso di accertamento divento poi definitivo per mancata riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio.
Invero, in base all’articolo 63 del Codice di processuale tributario, nonché all’articolo 393 del Codice processuale civile, quando la Cassazione rinvia causa al giudice di merito, questa deve essere riassunta entro termine di sei mesi (nel testo attualmente vigente, in precedenza un anno) decorrente dalla pubblicazione della sentenza, altrimenti il processo si estingue come disposto dal comma 2 del medesimo articolo. In caso di mancata riassunzione, l’effetto conseguente alla estinzione del processo è la definitività dell’accertamento, il quale “vive” di forza propria e l’Amministrazione può, ai sensi dell’articolo 68 del codice di rito, procedere alla riscossione del credito entro l’ordinario termine di prescrizione, decorrente dalla data di scadenza del termine utile per la riassunzione.
La parte, che dichiara di non aver ricevuto notizia della sentenza di rinvio, deve proporre reclamo avverso decreto presidenziale del giudice di merito attraverso il quale è stata dichiarata l’estinzione del processo per mancata riassunzione; altrimenti, è inammissibile il ricorso promosso innanzi al giudice di legittimità avverso tale decreto.
Nel caso di specie, sette contribuenti impugnano autonomamente un avviso di rettifica tramite il quale l’Amministrazione pretende una maggiore imposta di registro a seguito di denunzia di successione. La Ctp, previa riunione dei procedimenti, accoglie parzialmente i ricorso introduttivi, e la sentenza è confermata dalla Ctr. I contribuenti impugnano la sentenza della Ctr in Cassazione la quale, nel 2007, accoglie il ricorso principale di uno dei procedimenti poi riuniti e cassa con rinvio la sentenza impugnata. Tuttavia, decorso il termine di un anno, nessuno dei ricorrenti, né tanto meno l’Amministrazione, riassumono la causa e con decreto del febbraio 2009 il presidente della Ctr emana decreto di estinzione dell’intero giudizio. In seguito, a due ricorrenti l’Amministrazione notifica l’iscrizione a ruolo sulla scorta dell’accertamento divenuto definitivo tramite cartella notificata nel novembre 2010 per oltre 459mila euro, i quali impugnano nel gennaio 2011 in Cassazione il decreto del Presidente della Ctr che ha dichiarato estinzione del giudizio, e innanzi la Ctp contestano i ruoli sostenendo l’illegittimità della pretesa. L’Amministrazione resiste, sostenendo la legittimità della pretesa siccome fondata su accertamento divenuto definitivo per mancata riassunzione, fondato sulla circostanza che il ricorso in Cassazione avverso decreto è stato dichiarato inammissibile con sentenza pubblicata nel settembre 2017.
• Ctp Como, sentenza n. 32/3/18
Agevolazione retroattiva Ici sul fabbricato rurale solo con variazione catastale
Il contribuente, proprietario di un fabbricato utilizzato per svolgere la propria attività agricola ma accatastato in una categoria diversa, i cosiddetti “fabbricati rurali strumentali” (Categoria D/10), al fine di godere dell’agevolazione concernente il non assoggettamento ad Ici con efficacia retroattiva, deve presentare domanda di variazione catastale, corredata da autocertificazione di atto notorio, entro il termine del 30 novembre 2012, e non oltre. Ciò perché l’articolo 7, comma 2-bis del Decreto Legge n. 70 del 2011, applicabile ratione temporis, dispone che le domande di variazione catastale, corredate da apposita autocertificazione, per ottenere il riconoscimento di ruralità, debbano essere presentate entro il 30 novembre 2012 con effetto retroattivo di cinque anni dal momento di presentazione, come interpretato dalle disposizioni di cui al comma 5-ter dell’articolo 2 del Decreto Legge n. 102 del 2013 (“Disposizioni in materia di IMU”). Trattasi di agevolazione tributaria, la quale deve essere intesa e interpretata in senso strettamente letterale e quindi non è derogabile, avendo il contribuente a disposizione un lasso di tempo cospicuo entro la scadenza del quale può usufruire dell’agevolazione. Pertanto, deve essere considerata tardiva e, quindi, valevole solo per il futuro, la richiesta di variazione catastale presentata oltre il termine previsto.
Nel caso in esame, due coniugi, esercenti attività agricola, possiedono in pari quota due fabbricati, accatastati il primo in Categoria D/7 (“Fabbricati per attività industriali”), ed il secondo in Categoria C/2 (“Magazzini e locali di deposito”). Non versano l’Ici per gli anni dal 2009 al 2010, essendo i due fabbricati utilizzati per svolgimento attività agricola e quindi ritenuti di fatto fabbricati rurali strumentali. Presentano la domanda di variazione catastale in data 9 maggio 2014. Il Comune recupera però l’Ici per il biennio 2009-2010 tramite accertamenti non avendo gli stessi presentata la domanda di variazione per usufruire dell’agevolazione entro il 30 novembre 2012.
• Ctr Lombardia, sezione staccata Brescia, sentenza 506/23/18
La rinuncia al diritto di usufrutto non è cessione di immobile per il registro
La rinunzia al diritto di usufrutto sull’immobile, acquistato con le agevolazioni prima casa, non equivale a cessione del bene in favore del soggetto titolare della nuda proprietà, anche se essa è avvenuta entro il quinquennio decorrente dall’acquisto. Pertanto è illegittimo il ricupero della maggiore Iva pretesa attraverso apposito avviso di rettifica per decadenza dell’agevolazione fiscale “prima casa”.
Invero, è infondata la tesi dell’Amministrazione secondo cui sussiste la decadenza dell’agevolazione “prima casa”, contemplata dall’articolo 1 della Tariffa allegata al DPR 131/1986, avendo equiparato per analogia la rinuncia al diritto di usufrutto al trasferimento del bene immobile. In primo luogo, tale ipotesi non è prevista esplicitamente dal Legislatore. In secondo luogo, nel diritto tributario vige il divieto di applicazione dell’istituto dell’analogia.
Per contro, è valida la tesi del contribuente, secondo cui la rinuncia al diritto di usufrutto non equivale a titolo di trasferimento di immobile, avendo natura di titolo abdicativo del diritto in favore del soggetto avente nuda proprietà. In pratica, si estingue il diritto, ma non vi è alcun trasferimento di proprietà.
Nel caso in esame, madre e figlio acquistano nel febbraio 2012 un immobile adibito ad abitazione principale con applicazione dell’Iva agevolata al quattro per cento. Più precisamente, la madre acquista il solo diritto di usufrutto generale vitalizio, ed il figlio acquista la nuda proprietà. In seguito, nell’agosto 2013, la madre rinuncia con atto notarile al diritto di usufrutto. L’Amministrazione ritiene che la rinuncia al diritto di usufrutto equivalga alla perdita della agevolazioni e notifica ai contribuenti avviso di rettifica iva nel marzo 2016 attraverso cui ricupera maggiore iva per oltre 3mila euro, oltre interessi e sanzioni.
• Ctp Treviso, sentenza 162/3/18
La parte vittoriosa deve proporre appello incidentale sulle censure rigettate
La parte risultata, risultata vittoriosa nel primo grado del giudizio tributario e che non intenda rinunciare ad una eccezione di merito rigettata esplicitamente od implicitamente dalla Ctp, deve “devolvere” l’eccezione alla Ctr attraverso il c.d. “appello incidentale”. Non può limitarsi, infatti, alla c.d. “mera riproposizione”, perché questa opera solamente per le questioni assorbite ovvero non esaminate, pena la formazione del giudicato interno sul punto. Pertanto, qualora il contribuente abbia contestato in primo grado un determinato vizio formale (il difetto di notifica dell’atto), e questo punto sia stato espressamente rigettato, deve riproporre tale eccezione attraverso apposito appello incidentale.
Nel giudizio d’appello, poi, non possono essere formulate eccezioni nuove, intese quali vere e proprie nuove motivazioni in senso tecnico–processuale così come previsto dall’articolo 57 del codice processuale tributario. Tuttavia, tale divieto non si estende alle c.d. “mere difese”, cioè alle argomentazioni attraverso le quali la parte difende il proprio operato e contesta l’argomentazione resa dal primo giudice e la vede soccombente.
In ogni caso, va confermata la sentenza di primo grado attraverso cui è stato accolto il ricorso introduttivo del contribuente avverso l’accertamento basato sugli studi di settore, qualora la differenza tra ricavi stimati e ricavi dichiarati è del tutto modesta e irrilevante, ossia non è presente quella grave incongruenza che legittima l’accertamento erariale.
Nel caso in esame, un contribuente esercente attività di commercio al dettaglio di mobili, si oppone all’avviso di accertamento fondato sui risultati dello studio di settore relativo all’anno 2004 attraverso il quale l’Amministrazione ridetermina un imponibile Irpef in oltre 23mila euro rispetto a quello originariamente dichiarato e pari a quasi 7mila euro. Contesta l’inesistenza giuridica della notifica, il difetto di motivazione e l’infondatezza nel merito della pretesa. La Ctp respinge l’eccezione di difetto di notifica, ma accoglie il ricorso introduttivo nel merito, perché lo scostamento tra ricavi stimati dallo studio e dichiarati è irrisorio (2,58%). L’Amministrazione appella la sentenza e il contribuente resiste semplicemente con atto di controdeduzioni, in cui ripropone l’eccezione di difetto di notifica respinta dalla Ctp. Ma tale censura viene dichiarata inammissibile dalla Ctr per non essere stata proposto attraverso appello incidentale, vale a dire con una diretta censura sul punto alla sentenza di primo grado. Conferma, nel merito, il “decisum” della Ctp.
• Ctr Sardegna, sentenza 122/1/18