Imposte

Flat tax, più armonizzazione a livello Ue

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di Angelo Cremonese

L’Istituto Bruno Leoni ha recentemente diffuso una proposta di radicale riforma del nostro sistema tributario basata sull’introduzione di un’aliquota unica al 25% per tutte le imposte: Iva, Irpef, sostitutive e Ires. L’obiettivo, condivisibile, è quello di rendere il nostro fisco più semplice ed efficiente. Le soluzioni ipotizzate dallo studio dovrebbero attenuare alcuni importanti problemi del nostro sistema fiscale quali: l’eccessiva complessità, il forte fattore frenante per l’economia, la strutturale inefficienza e una limitata funzione redistributiva. L’analisi delle principali tesi formulate va condotta su binari puramente tecnici, escludendo quindi, valutazioni di tipo politico, che pur hanno avuto un ruolo importante nel determinare gli indirizzi di fondo nella costruzione dell’ipotesi di riforma.

Una prima rilevante tematica riguarda le possibili conseguenze di un aumento dell’Iva al 25% che dovrebbe finanziare, in parte, la riduzione di gettito dovuta all’abolizione di Irap e Imu. Questa misura potrebbe avere un effetto depressivo sulla base imponibile, come già nel passato si è più volte registrato per gli ultimi incrementi di aliquota. Non siamo ancora del tutto fuori dalla lunga crisi economica che ha caratterizzato il recente passato ed esiste il concreto pericolo che un sensibile aumento dell’imposta sugli scambi possa avere, quale conseguenza, una riduzione dei consumi. Questi timori accompagnano, peraltro, le considerazioni di molti studiosi e sono alla base della spasmodica ricerca di soluzioni per evitare che il Governo Gentiloni sia costretto a intraprendere questa strada per rispettare le clausole di salvaguardia Ue. Sul punto è importante sottolineare i possibili effetti regressivi che l’aumento della principale imposta indiretta avrebbe. L’alta propensione marginale al consumo dei cittadini con basso livello di reddito determinerebbe, infatti, uno spostamento sui ceti più deboli di una consistente porzione della pressione fiscale.

Un altro punto chiave della della proposta è data dall’eliminazione delle diverse aliquote Irpef, sostituite da una flat tax al 25%, che garantirebbe una limitata progressività attraverso il sistema delle diverse deduzioni. Appare condivisibile la strada di una razionalizzazione del mondo delle sconfinate agevolazioni, detrazioni e deduzioni fiscali che il nostro ordinamento prevede. Costringere il contribuente a confrontarsi con una normativa caotica e spesso inutilmente complessa è uno dei punti di maggiore debolezza e di minore efficienza del nostro sistema tributario. Ciò che però viene sopravvalutato è l’effetto semplificazione che una sola aliquota porterebbe. Non è certamente su questo aspetto che i contribuenti attendono da anni, una vera rivoluzione a costo zero; quello che serve con urgenza è la semplificazione normativa, la riduzione degli adempimenti, la facilità di determinazione dei redditi e, soprattutto, l’armonizzazione europea delle basi imponibili per la tassazione delle imprese, che tanto pesa sulla competività delle nostre aziende impegnate sui mercati internazionali.

Il coraggio di cambiare non passa per la staticità e per il mantenimento delle incongruenze esistenti, ma vanno comunque evitate le formule di facile impatto con conseguenze pericolose. Attenuare il peso dell’Irap e dell’Imu potrebbe avere dei positivi effetti anticiclici per due settori cardine dell’economia: imprese e immobiliare; ma è necessaria una gradualità che vada di pari passo con l’attenzione ai problemi di stabilità finanziaria che il nostro Paese deve considerare come prioritari. La riduzione del gettito Irpef che comporterebbe l’adozione della flat al 25% potrebbe davvero essere compensato da una riduzione della spesa pubblica o da un recupero del sommerso e dellevasione? La consistente perdita di progressività che questa proposta prevede è davvero coerente con la fotografia dell’Italia dopo otto anni di crisi? Il nostro Paese ha vissuto nell’ultimo decennio un forte aumento delle disparità sociali e, purtroppo, dell’indice di povertà delle famiglie, soprattutto di quelle formate da nuclei di giovani. Questo dato, oltre ad essere un allarmante segnale di una società ingessata, è un importante indicatore economico che misura la scarsa capacità di uno Stato di ripartire e di crescere, offrendo a tutti le opportunità di sfruttare i propri talenti.

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