Imposte

Fringe benefit, i tassi rischiano di vanificare il bonus a 3mila euro

Il beneficio può venire meno per i lavoratori con prestiti agevolati dal datore. Gli importi per interessi che superano la soglia sono tassati interamente

di Stefano Sirocchi

L’innalzamento a 3mila euro della soglia di non imponibilità dei fringe benefit per lavoratori con figli a carico introdotto dal decreto Lavoro potrebbe essere vanificato dal rialzo dei tassi di interesse per gli addetti che hanno come benefit un finanziamento agevolato.

Il decreto Lavoro (articolo 40 del Dl 48/2023, ora all’esame del Senato per la conversione in legge) è intervenuto infatti sul welfare aziendale elevando la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit dagli ordinari 258,23 euro a 3mila euro, ma solo per i dipendenti che hanno figli nelle condizioni di essere fiscalmente a carico, e limitatamente al 2023. L’agevolazione rischia però di essere ridimensionata dalla congiuntura economica: il nuovo trend rialzista della Bce, che dal 10 maggio scorso ha portato il Tur (Tasso ufficiale di riferimento) al 3,75%, rischia di produrre effetti negativi rilevanti sulla tassazione del reddito dei dipendenti che abbiano come benefit l’accesso a mutui o prestiti a tassi agevolati, in particolare a tasso fisso.

Già alla fine dell’anno scorso, il Tur al 2,5% ha comportato per tutti i dipendenti con mutui a tassi agevolati concessi dall’azienda (o da terzi, tramite contributo versato dal datore di lavoro per gli interessi) la formazione di materia imponibile, salvo l’applicazione della soglia generale di non imponibilità delle erogazioni in natura (nel periodo di imposta 2022 pari a 3mila euro, a prescindere se i dipendenti avessero figli a carico o meno).

La non imponibilità dei benefit

Nel periodo d’imposta 2022 il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati, nonché le somme erogate o rimborsate dal datore per pagare le utenze domestiche dell’acqua, dell’energia elettrica e del gas al lavoratore dipendente, non hanno concorso a formare il reddito imponibile ai fini Irpef, nel limite complessivo di 3mila euro, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo del Tuir (ossia alla soglia ordinaria di 258,23 euro, aumentata temporaneamente nel 2022 dall’articolo 12 del Dl 115/2022, come modificato dall’articolo 3, comma 10 del Dl 176/2022).

Per il 2023, la norma viene sostanzialmente riproposta, con alcune differenze. La più importante è l’ambito soggettivo. Pur confermando la soglia di non imponibilità dei benefit (comprese le utenze domestiche) fino a 3mila euro, la disciplina viene circoscritta ai dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del Tuir, ovvero abbiano, nel periodo di imposta, un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro, o a 4mila euro se di età fino a 24 anni, al lordo degli oneri deducibili.

Si applica, invece, l’articolo 51, comma 3, e dunque anche l’ordinaria soglia di 258,23 euro, ai lavoratori che non possono fruire della nuova normativa e alla relativa soglia maggiorata. In ogni caso, se si oltrepassano i citati limiti, ovvero 3mila o 258,23 euro, l’intero valore dei benefit concorre a formare il reddito e dunque il beneficio si annulla completamente.

I prestiti a tasso agevolato

La lettera b), comma 4, articolo 51 del Tuir, prevede un’agevolazione di carattere strutturale sui prestiti a tasso agevolato concessi dal datore di lavoro ai dipendenti. In questi casi, per determinare il valore imponibile, si assume il 50% della differenza tra l’importo degli interessi quantificato in base al tasso ufficiale di riferimento vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso effettivamente applicato sui finanziamenti al dipendente. I prestiti possono anche essere rilasciati da terzi, ad esempio dalle banche (risoluzione 46/E/2010).

Il calcolo del beneficio

Per determinare il valore del benefit, si dovrà dunque considerare il tasso applicato al dipendente e l’importo finanziato, si supponga rispettivamente lo 0,5% e 200mila euro. Ipotizzando che a fine anno il Tur resti lo stesso di oggi, ovvero 3,75%, si avrà:

● interessi passivi a carico del dipendente: 200.000 x 0,5% = 1.000 euro

● interessi calcolati al Tur: 200.000 x 3,75% = 7.500 euro

● valore imponibile benefit: (7.500 – 1.000) / 2= 3.250 euro

Dunque, anche i dipendenti con figli a carico, che nel 2023 abbiano complessivamente fringe benefit per un valore superiore alla soglia dei 3mila euro, non possono fruire di tale plafond di esenzione, con la conseguenza che i benefit stessi sono pienamente imponibili, come nel caso dell’esempio.

Mutui a tasso fisso

Paradossalmente, al mutare del Tur negli anni, l’imponibile fiscale del benefit legato ai mutui agevolati rimane pressoché costante per quelli a tasso variabile (perché l’aumento degli interessi passivi del mutuo di solito va di pari passo con il Tur), mentre è variabile nel caso dei mutui a tasso fisso.

L’attuale disciplina, infatti, fa riferimento all’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno. Quindi per i mutui a tasso fisso tale formula può risultare vantaggiosa per il contribuente nei periodi di ribasso dei tassi, ma molto onerosa nei periodi di rialzo degli stessi, come quello attuale, e senza alcuna garanzia che i due effetti si possano compensare nel tempo.

LE NOVITÀ SUI FRINGE BENEFIT

Il plafond di esenzione
Che cosa rientra nella soglia di non imponibilità dei benefit
I fringe benefit che nel periodo di imposta 2023 rientrano nel limite di esenzione fiscale di 3mila e 258,23 euro, rispettivamente per i dipendenti con figli a carico (o nelle condizioni di esserlo) e per gli altri dipendenti, sono:

● i beni ceduti e i servizi prestati, anche se ottenuti da terzi (ad esempio tramite buoni acquisto), compresi quelli offerti al coniuge del dipendente o a suoi familiari tra quelli indicati nell’articolo 12 del Tuir, tenuto conto delle esenzioni previste dall’articolo 51, comma 2, del Tuir (ad esempio servizio di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti);

● le autovetture, gli autocaravan, i motocicli e i ciclomotori dati in uso promiscuo;

● i mutui, i finanziamenti e i prestiti a tassi agevolati concessi dal datore di lavoro o da terzi, quali gli istituti di credito e le società finanziarie, alle condizioni indicate nella risoluzione 46/E del 2010;

● i fabbricati concessi in uso, in comodato o in locazione a condizioni agevolate.

Non deve, invece, essere incluso nel conteggio del plafond di esenzione dei benefit, il valore dei buoni pasto.

- Per i soli dipendenti che hanno figli con un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro, o a 4mila euro se di età fino a 24 anni, al lordo degli oneri deducibili (ossia che soddisfano le condizioni per essere fiscalmente a carico), rientrano nella soglia di non imponibilità anche le somme erogate o rimborsate per pagare le utenze domestiche dell’acqua, dell’energia elettrica e del gas naturale.

I PRESTITI

Mutui e finanziamenti come fringe benefit ai dipendenti.

Il datore di lavoro può:

● concedere ai propri dipendenti un mutuo o prestiti a tassi agevolati o a tasso zero;

● permettere ai dipendenti la scelta di un istituto di credito di fiducia e versare un contributo per ridurre o azzerare gli interessi dovuti sul finanziamento.

Il versamento deve essere effettuato sul conto corrente del dipendente dal quale la banca preleva le rate del mutuo (risoluzione dell’agenzia delle Entrate n. 46 del 28/5/2010).

Il valore imponibile di tale benefit è pari alla metà della differenza tra:

● l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento vigente al termine di ciascun anno;

● e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi.

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