Controlli e liti

Gli autogol da evitare nel dialogo con il Fisco

di Silvio Rivetti

L’estensione del contraddittorio preventivo obbligatorio, disposto dall’articolo 4-octies del decreto crescita (Dl 34/19, convertito in legge 58/19) con effetto dagli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020, spinge già ora a riflettere sull’eccessiva disinvoltura con cui molti contribuenti gestiscono le fasi di confronto preliminare con il Fisco. Se si considera che i momenti di contraddittorio sono rigorosamente normati (per le verifiche e gli accessi articoli 33 Dpr 600/73, 52 Dpr 633/72, 12 legge 212/00; per gli inviti a comparire e a esibire documenti articoli 32 Dpr 600/73, 51 Dpr 633/72); e che da essi emergono elementi centrali ai fini degli accertamenti, ben si comprende l’esigenza di parteciparvi in maniera attenta e preparata.

IL GRAFICO / I casi concreti

Una prima cautela è quella di valutare se non sia meglio farsi rappresentare da un professionista, specie nei casi più complessi. Basta una semplice procura scritta con la firma autenticata (articolo 63 Dpr 600/73), mentre è da escludersi la procura alle liti, pur esibita da molti, che a rigore rende il professionista un “falsus procurator”, i cui atti sono inefficaci sino a ratifica da parte del contribuente.

La collaborazione d’obbligo

Gli inviti e le richieste dei controllori fiscali esigono una collaborazione, di fatto, obbligatoria da parte del contribuente, la cui carenza può essere sanzionata in via diretta (si pensi alla sanzione, da 250 a 2000 euro , ex articolo 11, comma 1, lettera c), Dlgs 471/97), o in via indiretta (si pensi alla facoltà di esperire l’accertamento induttivo puro, ex articolo 39, comma 2, lettera d-bis, Dpr 600/73; o all’inutilizzabilità successiva, a favore del contribuente, dei dati e documenti non esibiti, ex articolo 32, comma 4 Dpr 600/73).

Tuttavia, poiché i controlli fiscali devono riguardare periodi d’imposta specifici, ne discende che è lecito evitare la disclosure relativamente a circostanze non afferenti all’annualità oggetto di controllo (a pena di inutilizzabilità di tali informazioni, da parte del Fisco, Cassazione 24636/2017).

Le dichiarazioni al Fisco

Inoltre, benchè non sia estendibile all’ambito tributario il diritto a non rispondere di matrice penalistica (articolo 64 Codice di procedura penale), resta fermo che è lecito riservarsi, a fronte delle domande più puntuali dei funzionari, fornendo risposta scritta a mezzo memoria: purché il tutto avvenga in maniera motivata e non ostruzionistica, nel rispetto dei principi di collaborazione e buona fede ex articolo 10 della legge 212/2000.

Quanto al valore delle dichiarazioni verbalizzate, sfavorevoli alla parte, per la giurisprudenza maggioritaria esse sono confessioni extragiudiziali, suscettibili di costituire, in sede contenziosa, prova piena e diretta delle circostanze ammesse (Cassazione 309/2006). È bene sapere tuttavia che, secondo altro orientamento, tali dichiarazioni non possono costituire confessione in senso tecnico, vista la natura indisponibile dell’obbligazione tributaria, e hanno valore solo indiziario discrezionalmente valutabile dal giudice (Cassazione 11170/2004, 15438/2001, 17185/2002).

Si consideri inoltre che le ammissioni “autolesive”, poiché non sono dichiarazioni di volontà ma solo “di scienza” (cioè di conoscenza diretta di fatti e situazioni), possono essere ritrattate anche in ambito tributario, alla luce di circostanziati errori materiali oppure ostativi, intervenuti nell’esposizione della realtà che si intendeva riferire (Cassazione Sezioni unite 15063/2002, Cassazione 2366/2013).

La natura penale

Laddove i controlli evidenzino poi indizi di reità penale, è bene chiarire che, in campo fiscale, il valore probatorio delle dichiarazioni acquisite non è inficiato dal mancato rispetto delle garanzie di cui al Codice di procedura penale. Le informative previste e la nomina del difensore di fiducia, ex articoli 64 e 350 Codice procedura penale e 220 disposizioni attuative, sono infatti necessarie solo ai fini dell’applicazione della legge penale e non di quella tributaria (Cassazione 6939/2001).

Infine, pare utile un cenno alla grave conseguenza dell’inutilizzabilità, da parte del contribuente e a proprio favore, dei dati e documenti richiesti e non esibiti (articolo 32, comma 4, Dpr 600/73). Nella prassi dell’accertamento con adesione, può accadere che tale sanzione non impedisca di ridefinire le pretese, in relazione ai documenti finalmente esibiti. In contenzioso, invece, tale norma assume valore procedurale: e se, nella giurisprudenza di merito, essa può facilmente rimanere lettera morta, viceversa la Cassazione può negare valore alle ragioni del contribuente fondate su documenti già richiesti ma esibiti solo in giudizio, se l’invito dell’ufficio ad esibirli era specifico, corredato dell’avvertenza circa le conseguenze del mancato rispetto della norma, e se non ricorrevano cause non imputabili al contribuente, ostative all’esibizione (Cassazione 27069/2016, 11765/2014, 25334/2014). Tali orientamenti dovrebbero rappresentare un notevole deterrente rispetto alla tentazione di giocare tattiche evasive con il Fisco.

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