Holding, meno ostacoli all’azione di responsabilità
L’azione di responsabilità nei confronti della capogruppo da parte del socio della controllata non deve essere preceduta da una preventiva richiesta di risarcimento da fare valere sul patrimoni della controllata stessa. Lo chiarisce la Corte di cassazione, interpretando, ’articolo 2497 del Codice civile, La pronuncia, la n. 29139 della Prima sezione civile, depositata ieri, sottolinea come a una lettura sommaria, potrebbe sembrare che i soci esterni della società sottoposta a direzione e controllo siano addirittura obbligati a una preventiva escussione di quest’ultima: sarebbero cioè tenuti a convenire in giudizio la propria società e, solo se insoddisfatti, potrebbero agire contro la società capogruppo. La norma prevede che il socio o il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento solo se non sono stati soddisfatto dalla società controllata.
In realtà si deve arrivare a una diversa e opposta conclusione, afferma la Corte. Infatti, va considerata una serie di elementi. Innanzitutto, la tesi dell’obbligata azione contro la società eterodiretta per riparare il danno subito incide sul valore della partecipazione sociale degli stessi soci proponenti (e anche di quelli che non hanno proposti analoga azione). Che è proprio il pregiudizio contro il quale l’articolo del Codice civile offre tutela.
Inoltre, è la stessa dottrina giuridica a mettere in evidenza com sarebbe pericoloso sostenere che sia la stessa controllata a dovere risarcire i propri soci, non solo perchè la società dominata è proprio il soggetto danneggiato, «ma anche in quanto i casi di attribuzione patrimoniale ai soci sono tipici ed eccezionali (si pensi altresì alla regola della postergazione) e per il rischio di posizioni collusive volte a svuotare il patrimonio della controllata».
La Corte fa osservare come il Codice civile parla di «agire» con riferimento solo alla capogruppo e anche alla società dominata, facendo riferimento invece alla soddisfazione come causa ostativa dell’azione stessa, espressione che evoca la tacitazione del debito in maniera tale che non si possa pretendere più nulla. Il «beneficio di escussione», d’altra parte, è espresso in altre disposizioni del Codice (per esempio, articoli 563, 1944, 2268, 2304, 2868), invece il legislatore, puntualizza la Cassazione non ha attribuito ai soci esterni e ai creditori il diritto al risarcimento verso la società partecipata e ha disposto che il diritto al risarcimento del danno vantato verso la controllante può essere fatto valere solo in assenza di soddisfazione.
È diverso invece pretendere un beneficio di azione preventiva che avrebbe anche effetti contraddittori visto che la società eterodiretta dovrebbe addirittura essere convenuta in giudizio ed escussa prima che il socio esterno possa agire nei confronti della capogruppo. Con sicuri ritardi e rischi di imprevisti.
È poi certo possibile che la controllata paghi quello che si configura come un debito risarcirono altrui, con la diversa specificità che fa capo al socio o al creditore, cancellando in questo modo il pregiudizio subito, ma questo non può configurarsi come una condizione di procedibilità dell’azione del scio contro la società capogruppo. E neppure il socio è titolare di una pretesa di essere risarcito dalla controllata per fatto altrui, cioè della controllante.
Cassazione, sentenza n. 29139 /2017