I temi di NT+Novità della settimana

I provvedimenti dal 29 luglio al 5 agosto

I provvedimenti normativi e le interpretazioni ministeriali dell'ultima settimana

di Roberta Coser e Claudio Sabbatini

Iva/Operazioni imponibili

Risposta Interpello, agenzia delle Entrate 29 luglio 2022, n. 394

Nave da diporto in costruzione: condizione di navigazione in alto mare da verificare dopo il varo

Per l'acquisto in leasing della nave da diporto in costruzione, la verifica a consuntivo della condizione che il mezzo di trasporto marittimo sia adibito per la navigazione in alto mare va rinviata allo scadere dell'anno successivo a quello di effettivo utilizzo, inteso come anno di varo e di messa in servizio per la navigazione. Diversamente, mentre l'imbarcazione è ancora in cantiere l'acquirente può presentare una dichiarazione provvisoria riguardo al successivo utilizzo della stessa in acque Ue ed extra-Ue. Il natante verrà varato nel 2023, mentre il contratto di leasing è in essere, ai fini della costruzione, già dal 2022. Si chiede quale sia il trattamento fiscale del maxi canone iniziale e dei canoni annuali successivi, con particolare riguardo alla dichiarazione da presentare a consuntivo per l'applicazione dell'articolo 7-sexies, comma 1, lettera e-bis), Dpr 633/1972 (articolo 1, comma 725, legge 160/2019; articolo 1, comma 710, legge 178/2020 e provvedimenti agenzia delle Entrate 29 ottobre 2020, n. 341339 e 15 giugno 2021, n. 151377). Secondo la lettera della norma, entro il gennaio 2023 andrebbe presentata la dichiarazione a consuntivo della navigazione fatta nel 2022, ma a tale data non si è in grado di definire la percentuale di effettivo utilizzo dell'imbarcazione in acque Ue o extra-Ue perché quest'ultima è ancora in costruzione. L'agenzia precisa che la dichiarazione fatta a consuntivo per la determinazione della percentuale di effettivo utilizzo va presentata entro il 31 gennaio dell'anno successivo a quello di varo e primo utilizzo (inteso come anno in cui la nave inizia la navigazione). In particolare, qualora l'imbarcazione sia destinata a un utilizzo sia nella Ue che fuori dalla Ue, l'utilizzatore, al fine di individuare la quota di non assoggettabilità all'Iva, può presentare una dichiarazione provvisoria, indicante la percentuale di navigazione prevista al di fuori della Ue, per ogni anno di durata del contratto di leasing. Il fornitore potrà, quindi, emettere la fattura in regime di parziale o integrale esclusione dall'imposta. In sostanza, l'agenzia ritiene applicabile alle unità da diporto quanto già chiarito per le navi commerciali adibite alla navigazione in alto mare ai fini del regime di non imponibilità Iva, ai sensi dell'articolo 8-bis, Dpr 633/1972. In tale sede, è stato affermato che la verifica a consuntivo è rinviata al termine dell'anno successivo a quello di effettivo utilizzo del predetto mezzo, inteso come anno di messa in servizio per la navigazione (risoluzioni agenzia delle Entrate nn. 2/E/2017, 39/E/2021 e 54/E/2021). Tuttavia, il dichiarante dovrà verificare a consuntivo quanto dichiarato anticipatamente in via provvisoria e comunicare al proprio fornitore l'eventuale differenza rispetto alla percentuale indicata in base ai conteggi effettuati a consuntivo. La verifica a consuntivo è rinviata «al termine dell'anno successivo a quello di effettivo utilizzo del … mezzo, inteso come anno di messa in servizio per la navigazione» (risoluzione agenzia delle entrate 39/E/2021). Nel caso specifico, dato che il varo della nave è previsto per aprile 2023, sarà possibile presentare la dichiarazione consuntiva entro il mese di gennaio 2024. Il medesimo trattamento fiscale dei canoni è applicabile al maxi canone iniziale (circolare agenzia delle Entrate 38/E/2009), corrisposto in una fase antecedente alla materiale consegna e utilizzo dell'imbarcazione.

Registro/Atti esenti

Circolare agenzia delle Entrate 29 luglio 2022, n. 30/E

Atti giudiziari in esenzione: estensione alle controversie fino a 1.033 euro

L'esenzione dall'imposta di registro viene estesa oltre alle sentenze del giudice di pace e alla loro impugnazione: l'agenzia – allineandosi al pensiero della Corte di Cassazione – amplia il perimetro applicativo del regime agevolativo a tutte le controversie fino a 1.033 euro, a prescindere dal grado di giudizio e dall'organo che emette il provvedimento. In deroga alla disciplina generale sulla tassazione degli atti dell'autorità giudiziaria, l'articolo 46, legge 374/1991 prevede quanto segue: «Le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede la somma di euro 1.033 e gli atti e i provvedimenti ad esse relativi sono soggetti soltanto al pagamento del contributo unificato, secondo gli importi previsti dall'articolo 13 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni». Secondo la risoluzione agenzia delle Entrate 10 novembre 2014, n. 97/E l'esenzione per valore disposta dalla norma richiamata è applicabile, oltre che al primo grado, anche ai provvedimenti emessi dai giudici ordinari nei successivi gradi di giudizio in sede di impugnazione delle sentenze del giudice di pace. L'orientamento rivisto tiene conto di recenti interventi della Corte di Cassazione, secondo i quali la ratio dell'agevolazione prescinde dal grado di giudizio e dall'organo giudicante: a rilevare è il valore modesto della controversia e delle spese di giudizio (Corte di Cassazione, ordinanze 22 febbraio 2021, n. 4725 e 3 marzo 2021, nn. 5857 e 5858, in relazione a controversie promosse fin dal primo grado avanti uffici giudiziari diversi dal giudice di pace). Sulla base di ciò, ora l'Amministrazione finanziaria estende l'esenzione disposta dal menzionato articolo 46 a tutti gli atti e provvedimenti relativi a controversie il cui valore non superi i 1.033 euro indipendentemente dal grado di giudizio e dall'ufficio giudiziario adito. Restano esenti dall'imposta di registro anche gli atti giudiziari, individuati dalla Nota II all'articolo 8 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr 131/1986, per i quali trova applicazione l'imposta di registro in misura fissa perché prevedono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti a Iva. Anche in tali casi, quindi, non è dovuta neanche l'imposta in misura fissa. L'agevolazione, invece, non spetta per le disposizioni negoziali contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati, richiamati nelle decisioni, in quanto la disposizione di favore riguarda esclusivamente «Le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede la somma di euro 1.033,00 e gli atti e i provvedimenti ad esse relativi».

Successioni e donazioni/ Attivo ereditario

Risposta Interpello, agenzia delle Entrate 1° agosto 2022, n. 398

I conti intestati in via esclusiva rientrano per intero nell'attivo ereditario

Uno dei coniugi, in comunione legale dei beni, muore. Nell'ambito della successione, il coniuge superstite deve attribuire per intero al de cuius i saldi dei conti correnti intestati unicamente al coniuge defunto, gli stipendi maturati (ma non pagati entro la data del decesso), nonché le quote da questo versate come socio sul libretto, salvo che il coniuge superstite dimostri l'esistenza dei presupposti che consentono di applicare la comunione legale differita. Tra l'altro, l'istante si chiede se il saldo attivo di un conto bancario intestato alla persona deceduta vada tassato per intero, visto che – secondo un orientamento – la comunione legale fra i coniugi riguarderebbe solo gli acquisti effettuati dopo le nozze. Gli articoli 177 e 178 del Codice civile prevedono anche la «comunione differita» (o «de residuo»): prevedono insomma che taluni beni entrino in comunione soltanto se non consumati al momento dello scioglimento di questa. La comunione differita è applicabile, tra l'altro: 1) «ai frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione»; 2) «ai proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati». Inoltre, con riguardo all'imposta sulle successioni e donazioni, l'articolo 11, Dlgs 346/1990 stabilisce, tra l'altro, che: 1) appartengono, in via presuntiva, all'attivo ereditario «i beni mobili e i titoli al portatore di qualsiasi specie posseduti dal defunto o depositati presso altri a suo nome»; 2) le quote dei depositi bancari e dei conti correnti bancari e postali cointestati si considerano uguali, salvo diversa destinazione. Di conseguenza, il deposito o conto corrente intestato soltanto a uno dei due, va incluso nell'attivo ereditario per l'intero ammontare, e questo vale anche se i coniugi erano in regime di comunione legale. Anche la circolare ministero delle Finanze 6 dicembre 1989, n. 53 ha avuto modo di affermare che non fanno parte della comunione dei beni i conti correnti a nome esclusivo del defunto, con l'effetto che l'ammontare del saldo entra nell'attivo ereditario per intero e non per la metà del suo valore. L'agenzia, pertanto, non concorda sull'ipotesi prospettata secondo cui il conto corrente costituirebbe comunione di beni «de residuo», in quanto tale definizione è riferibile specificamente ed esclusivamente a frutti di beni personali o a proventi dell'attività separata di uno dei coniugi, non consumati al momento dello scioglimento della comunione (somme maturate e non ancora incassate dal defunto al momento del decesso). Resta ferma la possibilità, in capo al coniuge superstite, di dimostrare la contitolarità e la riconducibilità di tali beni nella comunione provandone i presupposti. In definitiva, salvo prova contraria, ai fini della determinazione dell'imposta di successione dev'essere considerato l'intero importo del saldo del conto corrente intestato al defunto a meno che il coniuge superstite non dimostri che ci siano i termini per applicare la comunione legale differita. Stesse conclusioni per le quote depositate sul libretto.

Immobili/Bonus edilizi

Risoluzione agenzia delle Entrate 2 agosto 2022, n. 45

Crediti ceduti nell'ambito del consolidato fiscale

Conformemente a quanto espresso con la Risposta Interpello 133/2021, l'agenzia afferma che il trasferimento dei crediti d'imposta derivanti da Superbonus e altri sconti fiscali, dalla controllata alla controllante, non configura un'ipotesi di cessione a terzi degli stessi crediti, ossia un contratto tra un cedente e un cessionario, mediante il quale il primo trasferisce al secondo il diritto di credito che vanta nei confronti del proprio debitore. Si tratta, piuttosto, di un trasferimento di una posizione soggettiva alla fiscal unit, ai fini della liquidazione dell'imposta sul reddito delle società dovuta dalla consolidante, nell'ambito di un sistema di tassazione finalizzato alla determinazione di un reddito imponibile unico e all'abbattimento dell'Ires di gruppo anche attraverso l'utilizzo in compensazione dei crediti e delle eccedenze d'imposta trasferiti dalle imprese che vi aderiscono. Con l'effetto che la controllata può legittimamente trasferire detti crediti alla fiscal unit, nei limiti della quota utilizzabile e dell'Ires dovuta, senza incorrere nelle limitazioni previste dall'articolo 121, Dl 34/2020. La consolidante dal canto suo potrà utilizzare in compensazione tali crediti agevolativi, ricevuti dalla controllata, tramite il modello F24 e, per consentire all'amministrazione di verificare (con i controlli automatizzati) la capienza del plafond delle agevolazioni disponibili rispetto ai crediti utilizzati, dovrà indicare, nella sezione «Contribuente» del modello: 1) nel campo «Codice fiscale», il proprio; 2) nel campo «Codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare», quello della società consolidata che lo ha trasferito, insieme al codice identificativo «62». Infine, viene precisato che – ai fini della compensazione dei crediti in argomento – anche nell'ambito del consolidato fiscale non si applicano i limiti previsti dall'articolo 31, comma 1, Dl 78/2010 e dall'articolo 34, legge 388/2000, così come previsto dal comma 3 dell'articolo 121 citato, senza che operino le limitazioni alla trasferibilità e all'utilizzabilità dei crediti connessi alla disciplina del consolidato, commentati con la circolare agenzia delle Entrate 20 dicembre 2004, n. 53/E. Quest'ultimo documento di prassi ha precisato che non operano limitazioni ai crediti indicati nel Quadro RU del modello Redditi. Secondo l'agenzia, i crediti edilizi, sebbene non rientranti nel novero dei crediti indicabili nel Quadro RU, ne conservano, dal punto di vista sostanziale, le medesime caratteristiche, trattandosi di crediti d'imposta previsti da specifiche disposizioni di natura "agevolativa", il cui importo complessivamente utilizzabile è predeterminato e stanziato in appositi capitoli di spesa del bilancio dello Stato. Ne deriva che, per ragioni di coerenza sistematica, dev'essere riconosciuta, anche con riguardo a quest'ultimi, la possibilità di trasferirne il relativo importo al consolidato fiscale senza l'applicazione di alcun limite.

Agevolazioni/Tasso di attualizzazione e rivalutazione

Dm Sviluppo economico 22 luglio 2022, GU 30 luglio 2022, n. 177

Agevolazioni alle imprese: fissato il tasso di attualizzazione e rivalutazione

Il Decreto concerne la variazione del tasso di attualizzazione/rivalutazione ai fini della concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore delle imprese: a partire dal 1° agosto 2022 – in conformità alla Comunicazione della Commissione europea 2008/C 14/0 (GUUE 19 gennaio 2008, n. 14) – il tasso da applicare è pari all'1,38%.

Agevolazioni/Prima casa

Risposta Interpello, agenzia delle Entrate 1° agosto 2022, n. 399

L'agevolazione «prima casa» non si perde col trasferimento all'estero

Una persona acquista un immobile nel Comune italiano in cui risiede con i benefici «prima casa» in data 8 marzo 2020. In data 6 aprile 2021 trasferisce la propria residenza all'estero, nel Paese in cui lavora. Secondo l'agenzia, avendo effettuato il cambio di residenza nel Paese straniero entro 18 mesi dal rogito, ha soddisfatto i requisiti di legge che danno diritto all'imposta di registro nella misura agevolata del 2%. Infatti, lo spostamento successivo della residenza dal Comune in cui è situato l'immobile agevolato non comporta la decadenza dal regime di favore e non è dovuto il pagamento di ulteriore imposta, se l'acquirente soddisfa la condizione stabilita dalla lettera a) della Nota II-bis all'articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr 131/1986. Nello specifico, ai sensi della lettera a) della Nota II-bis, per l'accesso al beneficio è necessario, alternativamente, che l'immobile sia ubicato: a) nel territorio del Comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall'acquisto la propria residenza; b) se diverso, in quello del Comune in cui l'acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende; e nel caso in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquistato come «prima casa» sul territorio italiano. Pertanto, l'acquirente (che non sia cittadino italiano emigrato all'estero, né goda delle eccezioni previste per il personale delle Forze Armate dall'articolo 66, comma 1, legge 342/2000), se non svolge la propria attività nel Comune in cui si trova l'immobile che intende acquistare, né ha la residenza in quel Comune, può comunque accedere al beneficio impegnandosi a trasferire la residenza in quel Comune entro 18 mesi dal rogito. Una volta che tale condizione sia stata raggiunta, il legislatore non ha stabilito un obbligo di conservare la residenza in quel Comune per un determinato periodo. Pertanto, il soggetto che abbia acquistato la residenza entro 18 mesi dal rogito (e sia in possesso delle altre condizioni agevolative) ha, quindi, diritto all'agevolazione anche se, successivamente, trasferisce la residenza altrove. Oltretutto, le cause di decadenza dal beneficio sono espressamente indicate dal comma 4 della Nota II-bis all'articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr 131/1986 che contempla, oltre al mendacio (ad esempio, per il mancato rispetto dell'impegno a trasferire la residenza entro 18 mesi dal rogito), la vendita dell'immobile entro 5 anni (senza acquistarne un altro entro un anno), ma non contemplata tra esse il cambio di residenza successivo a quello da effettuare entro il termine di 18 mesi. Pertanto, nel caso di specie, il contribuente che abbia trasferito la residenza nel Comune in cui si trova l'immobile agevolato entro 18 mesi dal rogito e, successivamente, trasferisca altrove la propria residenza, non decade dal beneficio goduto sull'atto di acquisto, purché non venda l'immobile agevolato e ne mantenga la titolarità per 5 anni dal rogito. Ai fini dell'agevolazione, per il cambio di residenza fa fede la data della dichiarazione di trasferimento resa dall'interessato al Comune (ai sensi del Dpr 223/1989), sempre che risulti accolta la richiesta di iscrizione nell'anagrafe (circolari ministero delle Finanze 1/1994 e 19/1994; circolare agenzia delle Entrate 38/E/2005).

Agevolazioni/Prima casa

Risposta Interpello, agenzia delle Entrate 1° agosto 2022, n. 400

L'utilizzo dell'agevolazione «prima casa» da parte di un coniuge esclude l'altro

Un contribuente, coniugato in regime di comunione legale, non può usufruire dell'agevolazione «prima casa» sull'acquisto a titolo personale di un'abitazione, se il coniuge, in costanza di comunione, ha acquistato un immobile usufruendo dell'agevolazione (anche solo sulla quota del 50%), in quanto gli effetti fiscali di tale acquisto si sono riversati anche sull'altro coniuge per effetto dell'articolo 177 del Codice civile, il quale prevede che rientrano in comunione legale «gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali». Il caso esaminato dall'agenzia è quello di due coniugi in comunione dei beni: uno dei due ha acquistato il 50% di un'unità abitativa beneficiando dell'agevolazione (Nota II-bis all'articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr 131/1986). Il successivo acquisto, effettuato mediante permuta di altro immobile acquistato in piena proprietà prima del matrimonio (e quindi fuori dalla comunione legale) effettuato dall'altro coniuge (nell'atto verrà resa la dichiarazione con cui riconosce che il bene compravenduto non costituisce oggetto della comunione e che appartiene esclusivamente all'istante, ai sensi dell'articolo 179, lettera f) del Codice civile) non può godere dell'analoga agevolazione. La coppia, inoltre, nel 2016 ha acquistato, in comunione di beni, un immobile residenziale in un altro Comune, in relazione al quale il coniuge dell'istante ha usufruito delle agevolazioni «prima casa» per il suo 50% di proprietà. L'agenzia, nel negare la possibilità di godere dei benefici fiscali, rileva che l'istante è già proprietario di un'abitazione (il riferimento all'acquisto avvenuto nel 2016) per la quale ha usufruito – in relazione alla sua quota di proprietà – delle agevolazioni fiscali. Ciò significa, secondo disposizione di legge, che anche l'altra quota risulta beneficiaria dell'agevolazione, di conseguenza, a entrambi è preclusa la possibilità di avvalersi ulteriormente del beneficio «prima casa».

Redditi di impresa/Rivalutazione dei beni

Risoluzione agenzia delle Entrate 2 agosto 2022, n. 46

Deduzione del maggior valore dei beni immateriali a seguito della rivalutazione

Il Decreto Agosto ha previsto la possibilità di rivalutare taluni beni immateriali. In particolare, l'articolo 110, Dl 104/2020, al comma 8-ter (introdotto dall'articolo 1, comma 622, legge 30 dicembre 2021, n. 234) prevede che «La deduzione ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive del maggior valore imputato ai sensi dei commi 4, 8 e 8-bis alle attività immateriali le cui quote di ammortamento, ai sensi dell'articolo 103 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono deducibili in misura non superiore ad un diciottesimo del costo o del valore, è effettuata, in ogni caso, in misura non superiore, per ciascun periodo d'imposta, a un cinquantesimo di detto importo». Secondo l'agenzia, il chiaro (e circoscritto) richiamo all'articolo 103 del Tuir e alla deduzione in diciottesimi significa che la stretta operata in relazione alla deduzione (ai fini delle imposte sui redditi e dell'Irap) del maggior valore imputato alle attività immateriali (da un diciottesimo ad un cinquantesimo) riguarda solo i marchi d'impresa, l'avviamento e le attività immateriali a vita utile indefinita (articolo 10, Dm 8 giugno 2011). Restano escluse, invece, le attività immateriali, diverse dalle precedenti, le cui quote di ammortamento, sono deducibili in misura non superiore al 50%, secondo le previsioni dell'articolo 103, comma 1 prima parte del Tuir. A conferma di tale interpretazione il successivo comma 8-quater prevede la possibilità di versare un'imposta sostitutiva addizionale e di proseguire nella «deduzione del maggior valore imputato in misura non superiore, per ciascun periodo d'imposta, a un diciottesimo di detto importo». Si ritiene, dunque, superato il chiarimento espresso nel precedente documento di prassi (Risposta Interpello 108/2022), che aveva esteso l'ambito applicativo della stretta alle liste clienti iscritte ai sensi dell'Ifrs 3.

Redditi diversi/Criptovalute

Risposta Interpello, agenzia delle Entrate 1° agosto 2022, n. 397

Cessione di valute virtuali: applicazione dell'imposta sostitutiva

Secondo l'agenzia, i redditi realizzati in virtù della cessione di valute virtuali, detenute in un cold storage wallet localizzato nel Regno Unito e in un conto giacente su una piattaforma gestita da una società di diritto statunitense, sono qualificabili come redditi diversi prodotti all'estero, e, in linea di principio, gli stessi possono essere ricompresi nell'ambito applicativo dell'imposta sostitutiva sui redditi esteri. L'istante, nell'anno 2020, ha trasferito la propria residenza dalla Gran Bretagna all'Italia, e, alla data del trasferimento, era titolare di un portafoglio di valute virtuali detenute in UK e negli USA. Nel 2021, lo stesso ha ceduto parte del proprio portafoglio di valute virtuali. Poiché sta valutando la possibilità di aderire al regime di imposizione sostitutiva per i nuovi residenti di cui all'articolo 24-bis del Tuir (regime agevolato dei neoresidenti, si domanda se le plusvalenze generate da una persona fisica residente, in sede di cessione di valute virtuali, nel caso in cui il wallet sia detenuto presso una piattaforma exchange online, gestita da un intermediario non residente, costituisca un reddito di fonte estera, ai sensi dell'articolo 165 del Tuir e, dunque, rientri fra i redditi di fonte estera soggetti a tassazione sostitutiva per i soggetti che optino per l'applicazione del regime dei neo residenti. L'articolo 24-bis stabilisce, in deroga al principio della «tassazione mondiale», che le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia possano optare per l'assoggettamento ad imposta sostitutiva dei redditi prodotti all'estero, individuati secondo i criteri di cui all'articolo 165, comma 2, del Tuir, sempreché non siano state residenti in Italia, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del Tuir, in almeno nove dei dieci periodi d'imposta che precedono l'inizio del periodo di validità dell'opzione.In caso di opzione è dovuta un'imposta sostitutiva dell'Irpef calcolata in via forfetaria nella misura di 100.000 euro, per ciascun periodo d'imposta di validità dell'opzione. Tale pagamento dev'essere effettuato entro la data di scadenza del pagamento del saldo delle imposte sui redditi, pena la decadenza dal regime. L'articolo 1, comma 153, 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), inoltre, stabilisce che l'esercizio dell'opzione per il regime agevolativo in esame produce l'ulteriore effetto di esonerare il contribuente dall'obbligo di monitoraggio fiscale. Come detto, ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva, i redditi prodotti all'estero devono essere individuati secondo i criteri di cui all'articolo 165 del Tuir, che dispone che «i redditi si considerano prodotti all'estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall'articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato». Per quanto riguarda i redditi diversi, l'articolo 23 del Tuir prevede che si considerano prodotti nel territorio dello Stato quelli «derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti», con esclusione di talune fattispecie espressamente individuate dal legislatore (circolare ministero delle Finanze 207/1999). Alla luce della norma, pertanto, i redditi diversi realizzati dai soggetti neoresidenti, per effetto della cessione di attività finanziarie detenute nel territorio dello Stato sono imponibili in Italia. Secondo l'agenzia, il fatto stesso che le valute virtuali siano gestite, prima della cessione, da una piattaforma statunitense, autorizza a ritenere il reddito prodotto come reddito di fonte estera, come tale rientrante tra quelli agevolabili ai sensi dell'art. 24-bis del Tuir, con applicazione di una imposizione sostitutiva forfetaria (prelievo forfetario di 100.000 euro in luogo della tassazione del 26%). Ai fini della tassazione, risulta interessante il principio espresso dall'agenzia in relazione al trasferimento delle valute da una piattaforma ad un'altra: il trasferimento delle valute virtuali da un wallet a una piattaforma diversa non rappresenta un evento realizzativo agli effetti della tassazione italiana, ma è nella sostanza equiparato al trasferimento di strumenti finanziari da un conto deposito a un altro conto deposito, intestato allo stesso soggetto. Il presupposto impositivo è, invece, rappresentato dalla sola cessione a titolo oneroso delle valute virtuali, nel caso specifico per un corrispettivo in euro. Relativamente al monitoraggio fiscale, con riferimento alla detenzione di valute virtuali da parte dei predetti soggetti, si ritiene che tale obbligo sussista in quanto le stesse costituiscono attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. Poiché l'istante afferma di aver personalmente (senza intermediari bancari italiani) detenuto le valute virtuali oggetto di cessione, l'agenzia ritiene che i redditi realizzati dall'istante in virtù della cessione di tali valute virtuali, durante il periodo in cui era già fiscalmente residente in Italia, siano qualificabili come redditi diversi prodotti all'estero, e che, in linea di principio, gli stessi possano essere ricompresi nell'ambito applicativo dell'imposta sostitutiva sui redditi esteri ai sensi dell'articolo 24-bis del Tuir.

Operazioni straordinarie/Scissione

Circolare agenzia delle Entrate 1°agosto 2022, n. 31/E

Scissione societaria: riporto delle perdite fiscali con test di vitalità sul compendio scisso

Nelle operazioni straordinarie è previsto il divieto di riporto delle perdite nei casi in cui non sussistono le condizioni di vitalità economica richieste dalla normativa (articoli 172, comma 10, e 173, comma 7 del Tuir). In particolare, in un'operazione di scissione o di fusione societaria, le posizioni soggettive delle società che partecipano all'operazione straordinaria, precisamente le perdite fiscali, gli interessi passivi oggetto di riporto (articolo 96, comma 4 del Tuir) o le eccedenze relative all'aiuto alla crescita economica (articolo 1, comma 4, Dl 201/2011) possono essere portate in diminuzione del reddito della società avente causa nell'operazione: 1) per la parte del loro ammontare che non eccede quello del patrimonio netto della società che riporta le perdite, come risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell'articolo 2501-quater del Codice civile, senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, evitando la realizzazione artificiosa di un totale recupero delle perdite fiscali (test del patrimonio netto o equity test); 2) se dal conto economico della società le cui perdite sono oggetto di riporto, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, (articolo 2425 del Codice civile) superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori (test di vitalità). Tali limiti sono finalizzati a contrastare le ristrutturazioni aziendali con società non produttive, realizzate al solo fine di compensare le perdite e gli interessi passivi dell'una con i redditi dell'altra. Il documento di prassi in esame precisa, in relazione al test di vitalità, che: a) se un'operazione di scissione trasferisce alla società non neocostituita un ramo d'azienda, si applicheranno per il test i parametri contenuti negli articoli 172 e 173 del Tuir, avendo riguardo ai dati contabili relativi al compendio scisso; b) se, per effetto della scissione, sono trasferiti alla beneficiaria beni non integranti un ramo d'azienda, si dovranno individuare criteri alternativi che siano rappresentativi, nel contempo, sia della vitalità del compendio scisso, sia della sua capacità di riassorbire le posizioni fiscali soggettive trasferite alla società beneficiaria. La valutazione del test di vitalità in capo al compendio scisso – e non sulla scissa – dipende dal fatto che le posizioni soggettive sono attribuite per legge alla beneficiaria in base alle disposizioni del Tuir, in proporzione al patrimonio netto contabile trasferito. Ne consegue che l'assenza di fenomeni di compensazione intersoggettiva è condizionata dalla vitalità economica di tale compendio, in mancanza della quale deve presumersi che il compendio non abbia la capacità di assorbire con propri redditi imponibili futuri le posizioni fiscali trasferite alla beneficiaria, a meno che il contribuente fornisca prova contraria. Il contribuente, quindi, può dimostrare la sussistenza di tutte le condizioni che consentono la disapplicazione delle disposizioni che limitano il riporto delle perdite, ai sensi dei citati articoli 172, comma 7, e 173, comma 10, anche attraverso l'individuazione di criteri alternativi di vitalità che tengano conto delle caratteristiche dei beni trasferiti. In applicazione del principio di tutela dell'affidamento e della buona fede (articolo 10, legge 212/2000), gli Uffici valuteranno la sussistenza delle condizioni per escludere l'applicazione delle sanzioni nei confronti dei contribuenti che si siano conformati all'impostazione precedente che era stata indicata dalla circolare 9/E/2010.

Enti locali/Bilancio

Dm Interno 28 luglio 2022, GU 30 luglio 2022, n. 177

Bilancio di previsione 2022-2024: proroga del termine per la deliberazione

Viene differito al 31 agosto 2022 il termine per la deliberazione, da parte degli enti locali, del bilancio di previsione riferito al triennio 2022-2024. La proroga riguarda anche i termini per l'approvazione o la modifica delle delibere relative alle entrate, come: l'approvazione delle delibere Tari, il cui termine di approvazione è ora allineato a quello di approvazione del bilancio (articolo 43, comma 11, Dl 50/2022), qualora questo sia fissato in data successiva al 30 aprile di ciascun anno; le delibere relative alle aliquote dell'addizionale comunale Irpef e con esse l'adeguamento ai nuovi scaglioni fiscali, introdotti dalla Legge di bilancio 2022 (si ricorda che l'articolo 20, Dl 73/2022 ha previsto il differimento al 31 luglio 2022 dei termini per l'approvazione delle delibere da parte dei Comuni, correlato all'adeguamento ai nuovi scaglioni).

Imprese sociali/Attività ispettiva

Dm 20 luglio 2022, GU 1° agosto 2022, n. 178

Contributi per l'attività ispettiva: versamento con il modello F24

Il Decreto fissa le modalità di versamento dei contributi per l'attività ispettiva a carico delle imprese sociali non costituite in forma cooperativa. I contributi (di cui agli articoli 15, comma 4, Dlgs 112/2017 e 23, comma 5, Dm 29 marzo 2022), che spettano al ministero del Lavoro, nonché i relativi accessori e interessi, devono essere versati con le modalità previste dall'articolo 17, Dlgs 241/1997, ossia tramite modello F24. L'agenzia delle Entrate trasmette al ministero del Lavoro, con modalità telematiche e secondo termini definiti d'intesa, il flusso informativo relativo ai versamenti.