Il calendario fiscale senza tregua e l’eterna promessa di un sistema più semplice
Il sistema rischia di pagare a caro prezzo l’ulteriore e preoccupante stress da adempimenti legati all’emergenza Covid di questi mesi
Un sistema fiscale come il nostro, già “normalmente” sotto pressione per il peso eccessivo degli obblighi tributari, rischia di pagare a caro prezzo l’ulteriore e preoccupante stress da adempimenti legati all’emergenza Covid di questi mesi.
Un caos evidente che genera un disagio altrettanto evidente. Che non nasce solo dalla quantità impressionante di nuove misure e annessi provvedimenti attuativi e interpretativi introdotti per contenere gli effetti del virus sull’economia ma anche (forse soprattutto) dall’approssimazione con cui molte di queste norme sono state fatte. Il risultato è un’inverosimile complessità “aggiuntiva”, con nuovi obblighi che si sono riversarti e si riversano su imprese e professionisti.
La gravità della pandemia, certo, imponeva decisioni rapide e la rapidità spesso mal si concilia con l’accuratezza. Le scadenze dei pagamenti fiscali non fanno eccezione e, anzi, la definizione del nuovo calendario è apparsa molto controversa sin dalla prime limitate e selettive proroghe concesse a marzo (e poi con il decreto Rilancio di maggio), con il governo in ansia per la possibile eccessiva perdita di gettito. Cautela confermata anche di recente, con l’esecutivo più attento a tutelare la “ragion di Stato”, ovvero le entrate, e poco incline ad ascoltare il grido d’allarme di imprese e professionisti. Entrambi – specie in queste ultime settimane – hanno più volte segnalato sia gli oggettivi problemi di molti contribuenti nel trovare le risorse per effettuare i pagamenti, sia le difficoltà dovute all’accavallarsi di vecchi e nuovi adempimenti (non è irrilevante che questa chiusura al dialogo sia una delle cause che hanno portato i sindacati dei dottori commercialisti alla proclamazione di sette giorni di sciopero, dal 15 al 22 settembre).
L’emergenza non si esaurirà nei prossimi mesi. Un po’ di ossigeno arriverà, ma non per tutti, grazie al “decreto Agosto”, con il rinvio del secondo acconto di novembre (proroga al 30 aprile 2021) per contribuenti Isa e forfettari, a condizione che abbiano subito un calo del fatturato del 33% rispetto al primo semestre del 2019. La riscossione e la notifica delle cartelle esattoriali resterà ferma fino al 15 ottobre e per alcuni soggetti particolarmente colpiti dal lockdown sarà anche rinviata la seconda rata Imu. Diventerà poi più morbida la ripresa dei versamenti sospesi dal decreto Rilancio (34/2020), con una diversa possibilità di rateazione (senza sanzioni e interessi): il 50% entro il 16 settembre, anche in quattro rate mensili; il restante 50%, fino a un massimo di 24 rate mensili, dal 16 gennaio 2021.
Ma la tensione sul fronte scadenze-adempimenti resterà molto elevata per moltissimi contribuenti – già da qui a fine mese se ne vedranno delle belle, con oltre 240 appuntamenti in lista d’attesa – e andrà a peggiorare un quadro già critico, con un calendario ancora in cerca di stabilità. Vale sempre la pena di ricordare che, in base al Doing Business 2020 della Banca mondiale, l’Italia si colloca al 128° posto su 190 Paesi per peso e incidenza degli adempimenti fiscali: un’impresa manifatturiera di medie-piccole dimensioni dedica la bellezza di circa 240 ore all’anno agli adempimenti. Un dato molto negativo, con l’aggravante che nessuna economia avanzata fa male come noi.
Siamo un Paese nel quale si parla con estrema disinvoltura di semplificazioni fiscali, ma nel quale – con altrettanta e più grave disinvoltura – quelle stesse semplificazioni vengono puntualmente ignorate, e ciò vale sia per quelle di tipo normativo (leggi poco chiare, di difficile applicazione) sia per quelle di tipo operativo (adempimenti inutili, duplicazioni, scadenze confuse).
Al più se ne agita la bandierina, in modo propagandistico, quando si pontifica di improbabili riforme fiscali. Ma nei comportamenti reali, né il Governo né il Parlamento fanno mai nulla che dimostri il loro effettivo e concreto impegno per il fisco semplice. Anzi, guardando leggi e decreti – e non solo quelli dell’emergenza coronavirus – viene da pensare esattamente il contrario. E cioè che alla politica delle semplificazioni fiscali importi davvero poco.