Il cliente non paga la condotta del commercialista
La consapevolezza che il proprio commercialista non registra le fatture non basta per condannare l’amministratore della società per evasione fiscale, senza la prova che sapesse anche delle indebite compensazioni.
La Cassazione (sentenza 26236 depositata ieri) accoglie il ricorso del legale rappresentante di una Srl, condannato nei gradi precedenti per indebita compensazione. Per la Corte di merito era configurabile il dolo eventuale perché il ricorrente sapeva da tempo della disordinata gestione dei “conti” da parte del professionista, poi revocato, che lo seguiva. L’amministratore si era, infatti, accorto che il commercialista non registrava le fatture. Una circostanza ben diversa dalla contestazione fatta all’imputato che riguardava la compensazione, con il modello F24, in due occasioni, di crediti inesistenti o non spettanti perché compensati l’anno precedente.
La Cassazione non condivide il passaggio logico che ha portato la Corte di merito a desumere che il ricorrente sapesse anche delle “illecite” compensazioni sopra la soglia dei 50mila euro annui.
I giudici colgono un paio di contraddizioni nelle decisioni di merito. La Corte d’appello aveva considerato prefigurabile per il commercialista un atteggiamento colposo per la disordinata tenuta della contabilità. Non è dunque comprensibile come, da una condotta colposa del professionista, si sia fatto derivare il dolo del cliente. Ma la confusione tra dolo e colpa c’è già nella sentenza di primo grado, in cui si attribuiva al ricorrente una «culpa in eligendo e/o in vigilando a causa dell’operato del commercialista» affermando però per l’imputato l’esistenza del reato a titolo di dolo eventuale. La Suprema corte fa chiarezza precisando che per il dolo eventuale, anche ai fini della distinzione con la colpa cosciente, è necessario dimostrare che l’agente si «sia confrontato con la specifica categoria dell’evento che si è verificato nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente a essa». I criteri per valutare spaziano, dalla personalità del soggetto coinvolto, al comportamento successivo al fatto.
Nello specifico l’amministratore aveva revocato il commercialista e, con un altro, aveva fatto ricorso alla Commissione tributaria. La Cassazione invita a evitare la “tentazione” di ricondurre nel dolo eventuale tutti i comportamenti con un alto grado di “azzardo” – basando quasi la distinzione tra dolo e colpa sulla “quantità” della violazione del dovere di diligenza – invece di valutare in concreto se l’azione è voluta.