Il contitolare del conto non è anche comproprietario
Se l’intestatario di un conto corrente bancario (o di un dossier titoli) ne dispone la cointestazione ad altri soggetti, costoro sono legittimati a effettuare operazioni da imputare a quel conto o a quel dossier, ma non divengono proprietari del denaro contabilizzato nel conto corrente (o, meglio, non divengono contitolari del credito spettante al correntista verso la banca) né divengono proprietari degli strumenti finanziari che sono contabilizzati nel dossier.
Lo ha deciso la Cassazione, con l’ ordinanza 21963 depositata ieri, cassando la sentenza di appello la quale, al pari di quanto avvenuto in primo grado, aveva ritenuto che la cointestazione del conto corrente valesse come trasferimento pro-quota ai cointestatari del credito spettante al correntista verso la banca per la restituzione del denaro depositato nel conto corrente.
Dato che il versamento di denaro in un conto corrente genera che il depositante perde la proprietà del denaro depositato (che diviene di proprietà della banca) e, contemporaneamente, acquisisce un diritto di credito verso la banca alla restituzione di quanto versato, la Cassazione afferma che, per trasferire la titolarità del credito del correntista verso la banca, non basta una mera attività di cointestazione del conto, ma occorre un vero e proprio contratto di “cessione del credito” di cui il correntista è titolare.
In sostanza, “cointestazione” non significa “comproprietà”. La cointestazione è, semmai, una presunzione di comproprietà, vale a dire che, fino a prova contraria ( che non è soggetta a limitazioni), la giacenza di un conto (o i titoli iscritti in un dossier) appartengono in quote eguali ai cointestatari.
Ma se, in ipotesi, un conto corrente intestato a due fratelli, beneficia degli accrediti dello stipendio di uno dei due, mentre l’altro non vi deposita nulla perché é studente, il credito alla riscossione del denaro depositato appartiene per intero al fratello il cui stipendio viene accreditato nel conto.
La cointestazione vale per permettere ai cointestatari di operare sul conto, a prescindere dal fatto che essi siano titolari del credito verso la banca, con effetto liberatorio per la banca stessa: nel senso che uno dei cointestatari non può lamentarsi con la banca per le operazioni compiute dall’altro.
Se, dunque, la cointestazione non è interpretabile come contitolarità del credito, ne consegue che è abusivo l’operato del cointestatario che si appropria di denaro nel conto che non gli appartiene; né può pretendere che la cointestazione lo autorizzi, perché affinchè possa divenire contitolare del credito verso la banca senza aver versato nulla occorre che il cointestatario titolare del credito ceda (a titolo oneroso, cioè verso un corrispettivo) o doni pro-quota o per intero il suo credito verso la banca.
Cassazione, III sezione civile, Ordinanza 21963 del 3 settembre 2019