Il CommentoControlli e liti

Il contraddittorio va garantito dall’accertamento

Da una pronuncia sulla tassazione per trasparenza lo spunto per ribadire i tempi del diritto alla difesa

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di Enrico De Mita

Non c'è alcuna « presunzione assoluta » di attribuzione a ciascun socio dei redditi delle società di persone a norma dell'articolo 5, comma 1 del Tuir. Con la sentenza 201 depositata lo scorso 17 settembre la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Ctp di Genova (ordinanze del 22 gennaio 2019 in Gazzetta Ufficiale, 1^ serie speciale n. 40/19 e n. 20/20. Si veda anche Il Sole 24 Ore del 18 settembre).

Nello stabilire che l'attribuzione avviene indipendentemente dalla percezione – afferma la Corte – il legislatore individua un meccanismo di imputazione di ciò che è stato assunto come reddito prodotto « senza, invece, presumere la distribuzione dello stesso ». Di fronte a simile tipizzazione legale, l'esercizio di difesa è salvo: il contribuente può contestare l'accertamento del reddito societario o la propria qualità di socio e vincere la presunzione relativa.

Da ciò il forte richiamo alla «pienezza del contraddittorio, la verifica in concreto del presupposto impositivo, stante l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e dei soci delle stesse ». Va detto che le ordinanze di rimessione apparivano inammissibili per come formulate. La Corte ha preferito coglierne i pregi: favorire una riflessione sul tema che era ed è di rilevanza costituzionale, più che di legittimità costituzionale.

La sentenza in commento è una di quelle pronunce che, nel recente corso della Giurisprudenza della Corte, si lasciano apprezzare per lo spessore sistematico-istituzionale d'indagine e per la scelta di prospettiva. Infatti, occorre riconoscere la centralità orientatrice degli interventi della Corte che possono richiamare i giudici remittenti al ruolo fondamentale dell'interpretazione adeguatrice, soprattutto quando gli stessi non riescano ad intravvederne i presupposti. Come ribadito dalla Corte, «le società di persone residenti e gli enti ad esse assimilati non costituiscono un autonomo soggetto passivo d'imposta, ma sono assunti alla stregua di centri di riferimento per la determinazione del reddito, che viene attribuito ai soci al termine dell'esercizio e in base alle rispettive quote di partecipazione agli utili».

Si tratta di una scelta legislativa giustificata dalla necessità di tutelare l'interesse fiscale dello Stato alla percezione dei tributi, anch'esso tutelato, assieme all'interesse del contribuente a un'imposizione correlata alla propria capacità contributiva, dall'articolo 53, primo comma, della Costituzione (181/2017). Interesse fiscale e tutela del contribuente sono le componenti dell'unico nucleo semantico delle garanzie costituzionali. Come ben sottolineato dalla Corte, l'attribuzione del reddito “per trasparenza” comporta la tassazione Irpef direttamente in capo ai soci degli utili societari, con imputazione degli stessi per ciascun periodo d'imposta e indipendentemente dalla percezione. Tale imputazione presuppone la piena conoscenza delle vicende dell'amministrazione.

Ma occorre precisare che tale conoscenza è tendenziale e rappresenta spesso più una possibilità astratta che concreta, per esempio radicalmente esclusa in caso di gestione leonina e illecita della società da parte di amministratori infedeli. Si comprende che, rispetto a tale conoscenza tendenziale, si attesta sempre come relativamente presunta l'imputazione del reddito per trasparenza, il possesso del reddito come riferibilità, ai fini della tassabilità, al socio – nella specie accomandante – dei determinati redditi e della titolarità, in capo al medesimo, di poteri di disposizione in relazione ad essi redditi. La Corte evidenzia in modo assai chiaro la necessità della «pienezza del contraddittorio, la verifica in concreto del presupposto impositivo, stante l'unitarietà dell'accertamento ».

Come avevo già osservato, infatti, il problema attuale e irrisolto consiste nella necessità dell'integrazione del contraddittorio verso società e socio anzitutto in sede di verifica e accertamento, sin dall'inizio del procedimento di verifica, senza possibilità di rinvio solo alla fase processuale, che rimane eventuale. Il rapporto tributario principale (della società) e il rapporto dipendente (del socio), non possono venire in contatto solo in sede processuale.

Il nesso di imputazione per trasparenza è una tipizzazione presuntiva: non è indissolubile e ben può essere interrotto dal socio sul piano probatorio. In presenza di evidenze contrarie è doveroso per il giudice tributario recidere quella presuntiva imputazione del reddito societario, pro quota, in capo al socio di società di persone, a maggior ragione se estraneo alla gestione della società, come accade all'accomandante. Se così non fosse, gli esiti sarebbero palesemente irragionevoli. Dalla pronuncia della Corte e dal forte richiamo alla pienezza del contraddittorio, esce rafforzata la prospettazione secondo la quale l'unitarietà logico-sostanziale, che caratterizza l'imputazione per trasparenza, deve ricorrere nel procedimento amministrativo di accertamento, imponendo l'obbligo della notifica a tutti i debitori interessati (società e soci) non solo dell'atto di accertamento unitario, ma anche del prodromico invito al contraddittorio che precede l'avviso di accertamento unitario verso società e soci. Per la definitiva rimozione della lacuna, all'acquisizione interpretativa deve seguire l'intervento di chiusura da parte del legislatore.