Il credito Iva non si consolida allo scadere dei termini di accertamento
L’ordinanza 2834/2020 della Cassazione: i mancati controlli entro i termini non cristallizzano il diritto
Nel caso in cui il contribuente abbia esposto un credito Iva in dichiarazione, richiedendolo a rimborso, l’omesso espletamento di accertamenti da parte del Fisco entro i termini decadenziali per l’esercizio del potere accertativo, non comporta il consolidamento del diritto del contribuente al rimborso richiesto. Lo ha stabilito l’ordinanza 2834/2020 della Cassazione.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui, in tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza di 48 mesi previsto dall’articolo 38 del Dpr 602/1973, non occorrendo la presentazione di un’apposita istanza, in quanto l’Amministrazione finanziaria, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria; la relativa azione è pertanto sottoposta all’ordinario termine di prescrizione decennale, sulla cui decorrenza non incide il limite temporale stabilito per il controllo formale o cartolare delle dichiarazioni e la liquidazione delle somme dovute (Sezioni Unite 2687/2007 e Cassazione 7706/2013).
Le Sezioni Unite, con la sentenza 5069/2016, hanno stabilito che, qualora il contribuente abbia presentato la dichiarazione annuale ai fini di una imposta, esponendo un credito a rimborso, l’Amministrazione finanziaria non è tenuta a provvedere sulla richiesta di rimborso nei medesimi termini di decadenza stabiliti per procedere all’accertamento in rettifica, poiché i termini decadenziali in questione sono apposti solo alle attività di accertamento di un credito dell’Amministrazione e non a quelle con cui l’Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito, di talché, decorso il termine per l’accertamento, all’Amministrazione finanziaria viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consenta all’Amministrazione stessa di evitare un esborso e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe l’affermazione di un credito dell’Amministrazione, in applicazione del principio civilistico stabilito dall’articolo 1442 del Codice civile, secondo cui quae temporalia ad agendum perpetua ad excepiendum (conforme, Cassazione 3472/2018).
Anche con la pronuncia odierna è stato quindi stabilito che, in tema di rimborso d’imposta, non è previsto - né dall’articolo 38 del Dpr 602/1973, né da altre disposizioni - l’onere dell’Amministrazione finanziaria di svolgere attività di rettifica della dichiarazione in cui è stato esposto il credito, sicché, anche in assenza di accertamenti nei termini di legge, non si consolida l’asserito diritto del contribuente (tra le tante, Cassazione 15695/2017 e 24295/2019 in materia di imposte dirette).
Nel caso di specie, però, si trattava di un credito Iva, e invero, al riguardo, la Suprema corte in passato ha sempre stabilito che, ai sensi dell’articolo 38-bis del Dpr 633/1972, il credito del contribuente per il rimborso dell’Iva, versata in misura superiore al dovuto, si consolida decorsi due anni dal termine per la presentazione della dichiarazione annuale senza che l’Amministrazione finanziaria abbia notificato alcun avviso di rettifica o di accertamento ed è esigibile alla scadenza dei successivi tre mesi; pertanto, il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, non essendo il diritto medesimo esigibile prima del decorso di detto termine (si vedano Cassazione 19510/2003, 15679/2004, 18327/2007, 13933/2011).