Il CommentoImposte

Il diritto al silenzio per le sanzioni Consob esteso ai contribuenti Iva

di Enrico Traversa

La Corte di giustizia dell’Unione europea, su rinvio della Corte costituzionale italiana, ha emanato il 2 febbraio scorso un’importante sentenza in materia di sanzioni amministrative nella causa C-481/19 DB contro Consob. Oggetto dei quesiti interpretativi della Corte costituzionale erano gli articoli 47 (diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva) e 48 (presunzione di innocenza e diritti della difesa) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CdF), in relazione alle pesanti sanzioni pecuniarie che la Consob aveva irrogato al signor DB per abuso di informazioni privilegiate e per il rifiuto di quest’ultimo di rispondere alla domande rivoltegli dai funzionari della stessa Consob nel corso dell’audizione alla quale era stato convocato. La Consob aveva adottato detti provvedimenti sanzionatori sulla base degli articoli 187.2 e 187.15 del Testo unico n. 58/1998 che danno attuazione agli articoli 14, 23 e 30 del regolamento UE n. 596/2014 sugli abusi di mercato. La circostanza che tali norme legislative italiane costituissero attuazione di disposizioni di diritto europeo determinava l’applicabilità ai provvedimenti sanzionatori della Consob di tutti gli articoli della CdF ex articolo 51 della Carta stessa.

Il primo problema che la Corte di giustizia ha dovuto affrontare è quello della riqualificazione, da un punto di vista sostanziale di diritto europeo, delle sanzioni irrogate dalla Consob che in diritto italiano sono sanzioni amministrative previste dal Testo unico 58/1998 in caso di commissione di illeciti amministrativi da parte di operatori dei mercati finanziari. Sulla base delle sue precedenti sentenze C-596/16 Di Puma e C-537/16 Garlsson, aventi anch’esse ad oggetto le sanzioni Consob, la Corte di giustizia ha senz’altro qualificato le sanzioni irrogate al signor DB come sanzioni «di natura penale» in ragione della loro «finalità repressiva» e del loro «elevato grado di severità».

Da tale riqualificazione è conseguita l’applicabilità a tali sanzioni degli articoli 47 e 48 della CdF riguardanti i diritti degli imputati nei procedimenti penali. Fra questi diritti fondamentali rientra per la Corte anche il «diritto al silenzio», che preclude ad un’amministrazione di uno Stato membro la possibilità di sanzionare il rifiuto dell’«imputato» in un procedimento sanzionatorio «di fornire risposte che potrebbero far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative» (sentenza C-481/19, punti 45 e 57 e dispositivo). Tale conclusione rappresenta a sua volta l’applicazione del più generale principio in base al quale «gli Stati membri devono utilizzare il potere discrezionale ad essi conferito da una direttiva o da un regolamento UE in modo conforme ai diritti fondamentali» sanciti dalla CdF (stesso p. 57).

Le affermazioni di principio contenute nella sentenza C-481/19 possono essere integralmente trasposte dalle norme sanzionatorie del Testo unico 58/1998 sulla Consob, alle norme sanzionatorie di diritto italiano che completano il recepimento delle direttive UE in materia tributaria, in primis la direttiva Iva 2006/112/CE. Questo assunto è dimostrato «al di là di ogni ragionevole dubbio» dalla circostanza che la Corte ha emanato nello stesso giorno 20.3.2018 le precitate sentenze Di Puma e Garlsson relative alle sanzioni Consob e la sentenza Menci C-524/15 riguardante le sanzioni per omesso versamento dell’Iva, facendo ampia applicazione dei principi enunciati nella più dettagliata sentenza Menci in materia di sanzioni tributarie, alle questioni aventi ad oggetto le sanzioni Consob di cui alle sentenze Di Puma e Garlsson.

Le due giurisprudenze IVA e Consob vanno quindi considerate come largamente “intercambiabili”. In secondo luogo, la Corte UE ha già chiarito che le legislazioni nazionali in materia di sanzioni tributarie nei settori disciplinati da direttive di armonizzazione fiscale costituiscono “attuazione del diritto dell’Unione” ai sensi dell’art. 51 della CdF (sentenze C-617/10, p. 27 e C-189/18, p. 59). Consegue pertanto dall’assimilazione delle sanzioni amministrative “di natura penale” alle sanzioni penali in senso stretto operato dalla Corte che il “diritto al silenzio” riconosciuto al destinatario di sanzioni amministrative della Consob si applica anche al contribuente soggetto ad un procedimento sanzionatorio in materia di IVA, con la non lieve differenza che mentre gli operatori finanziari soggetti ai poteri di vigilanza della Consob sono solo alcune migliaia, i contribuenti IVA sono invece milioni.

Un’altra e più generale conseguenza della stessa sentenza C-481/19 è l’applicazione ai destinatari di sanzioni amministrative tributarie di tutte le ampie garanzie procedimentali assicurate agli imputati in procedimenti penali in senso stretto, sia dagli artt. 47-50 della CdF, sia dalle cinque direttive in materia di procedura penale adottate fino ad oggi dall’UE sulla base dell’art. 82.2 del Trattato. La sentenza C-481/19 evoca infatti implicitamente l’art. 7 (“Diritto al silenzio e diritto di non autoincriminarsi”) della direttiva 2016/343/UE sulla presunzione di innocenza e mette d’altra parte in seria crisi l’affermazione che figura al punto 11 della direttiva stessa secondo cui le garanzie in essa previste non si applicano né ai procedimenti amministrativi sanzionatori in materia tributaria, né alle indagini svolte da autorità amministrative. Lo stesso punto 11 della motivazione precisa tuttavia che la nozione di procedimento penale è quella “data dall’interpretazione della Corte di giustizia”, la quale può quindi estendere tale medesima nozione in funzione dell’interpretazione estensiva che la stessa Corte può dare – e che ha dato nella sentenza C-481/19 – al concetto di sanzione “di natura penale”. In conclusione l’amministrazione finanziaria non potrà più presumere la colpevolezza del contribuente dalla sua mancanza di risposte a domande della stessa amministrazione che implichino l’ammissione di una sua “responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative”. Questo principio si applica tuttavia soltanto alla sanzioni IVA e non anche alle sanzioni Irpef, tributo non armonizzato dall’Ue: un’ingiusta “discriminazione a rovescio” alla quale soltanto la Corte costituzionale può porre rimedio.